Il confine dell’Europa si è spostato a sud della Libia. Una sorta di terra di mezzo, che chi vuole provare la via del Mediterraneo, deve attraversare. E che poi deve attraversare al contrario, se rimandato indietro. È il territorio del Fezzan, regno delle tribù nomadi, circa cinquemila chilometri di confine praticamente sulla sabbia (il Sahara); dall’altra parte, il Niger e il Ciad. Una realtà immensa, impossibile da controllare, nonostante nel 2017 al Viminale, sotto la supervisione di Minniti, sia stato stilato una sorta di “accordo di pace” fra le tre tribù Awlad Suleiman, Tebi e Tuareg.
È un luogo-non luogo, dove la polvere è simbolo dell’immobilismo di Paesi dove i regimi non cambiano da venti, trent’anni. Un “teatrino” dove tutti fingono di non sapere che migliaia di persone sono derubate, comprate, vendute e imprigionate. Dove predominano il malaffare, la criminalità, e dove transita la droga che proviene dalla Guinea. Il presente vede schierati militari provenienti da vari Paesi esteri. Si militarizza il territorio per combattere il terrorismo, per fermare i migranti, per proteggere gli interessi, che non sono mai degli africani, ma sempre di Paesi altri, sempre gli stessi, quelli che dall’alto dei loro potere politico, economico e strategico, decidono le sorti dell’umanità. Quello che si continua a sottovalutare è che l’immigrazione è un processo inarrestabile, che il terrorismo non si argina solo con le armi, e che chiusa una “via della droga”, se ne apre un’altra.
© 2018 – Romina Gobbo – Facebook 24 gennaio 2018