Una delegazione della sottocommissione diritti umani del Parlamento europeo ha visitato i campi profughi del Rohingya in Bangladesh, che ospitano circa 700.000 persone fuggite negli ultimi cinque mesi, dalle persecuzioni in Myanmar. La situazione è disastrosa per mancanza di cibo e assistenza sanitaria. Impensabile che un paese povero come il Bangladesh possa sostenerla ancora a lungo. Ma il ritorno in patria, ha detto il presidente della sottocommissione, Pier Antonio Panzeri, va attuato con la “piena implementazione dell’Accordo di rimpatrio tra Myanmar e Bangladesh del 23 novembre 2017, con garanzie che includano il forte coinvolgimento dell’Alto commissariato Onu per i rifugiati (Unhcr)”. Poi, “la modifica della legge del 1982 sulla cittadinanza, per risolvere il problema delle persone senza nazionalità”. Quanto ai diritti umani, la delegazione esorta il governo birmano a “monitorare efficacemente la situazione, favorendo anche l’accesso agli aiuti umanitari nello stato di Rakhine”. Qui, dove si concentra la comunità rohingya, viene sollecitata “un’inchiesta indipendente e internazionale sulle violenze di massa compiute da fine agosto 2017, in modo da assicurare la garanzia del diritto ed evitare l’impunità”. Speriamo che questa presa di posizione sortisca qualche effetto, ma io temo che – come ha dimostrato la non tregua sulla Siria, violata subito dopo la decisione – le istituzioni nate per difendere la democrazia e i diritti umani facciano oggi sempre più fatica a farsi ascoltare, o che siano addirittura svuotate di significato, come l’Onu.
© 2018 – Romina Gobbo – Facebook 26 febbraio 2018