Reportage dall’Amazzonia. Fra i poveri dell’Ecuador, vittime del petrolio – Report from Amazonia. Among the poor of Ecuador, victims of oil – Informe de la Amazonía. Entre los pobres del Ecuador, víctimas del petróleo

L’avvocato Pablo Fayardo (credits Romina Gobbo)

«Sono passati cinquant’anni e qui, sotto ai miei piedi, c’è ancora una poltiglia tossica di rifiuti di petrolio misti ad acqua». Nella zona ci sono 880 piscinas come questa, profonde dai due ai quattro metri, che continuano a inquinare il terreno e le sottostanti falde acquifere. che alimentano il Rio Aguarico», spiega Pablo Fayardo, cresciuto saltellando dentro quelle pozze nere («Non sapevamo, per noi era normale»), oggi avvocato strenuo difensore dell’ambiente e di chi vi abita. Siamo in missione con la Focsiv (Federazione di organizzazioni non governative di ispirazione cristiana) all’interno della foresta amazzonica ecuadoriana, alle porte della città di Lago Agrio (Lago Amaro), nella provincia di Sucumbíos, sul sito di alcuni dei primi pozzi petroliferi perforati negli anni ’70. Nonostante una sentenza della Corte provinciale di giustizia nel 2011 abbia attribuito i danni alla Texaco, prima multinazionale a perforare il suolo ecuadoriano, condannandola a risarcire contadini e indigeni con 9,5 miliardi di dollari, e a bonificare, poco è stato fatto. L’iter legale è complesso. Il colosso petrolifero statunitense (acquistato nel 2001 da Chevron) ha trovato l’appoggio di un tribunale distrettuale degli Stati Uniti che ha chiamato in giudizio i firmatari della causa, considerati estorsori, secondo una legge contro la criminalità. E, più recentemente (0 agosto 2018), di una corte di arbitrato privata dell’Aja che, con un lodo, ordina allo Stato ecuadoriano di implementare gli strumenti per far annullare la sentenza a favore delle vittime. La zona contaminata si estende su 480mila ettari, e coinvolge, a vari livelli, 250mila persone.

 

Donald Moncayo (credits Romina Gobbo)

«La paura più grande che ho, è per mia figlia», dice Donald Moncayo, attivista della Udapt (l’associazione per le vittime della Texaco), che ha visto morire tanti amici, nati, come lui, nei pressi dei 356 pozzi petroliferi scavati negli anni.

Romina Gobbo con Valentina Vipera

«I dati dell’incremento di tumore nelle province di Sucumbíos e Orellana sono agghiaccianti – afferma Valentina Vipera, referente Focsiv Ecuador -. Uno studio del 2016 ha registrato 550 casi ogni 100mila persone, dai 180 ai 200 all’anno. Il 70% sono donne perché entrano maggiormente in contatto con l’acqua». A Lago Agrio non esiste un reparto per le cure oncologiche; chi necessita di chemioterapia deve andare fino alla capitale Quito, sette, otto ore di pullman.

 

 

Romina Gobbo con mons. Adelio Pasqualotto, vicentino, vicario apostolico del Napo

 

 

 

 

 

 

 

«I fiumi sono color caffellatte – dice il vescovo vicentino Adelio Pasqualotto, vicario apostolico del Napo -. Non c’è acqua potabile in nessuna delle nostre 22 parrocchie. Abbiamo dovuto installare i filtri. Ora i bambini non si ammalano più».

Mechero, inceneritore (credits Romina Gobbo)

E l’aria? Quasi quattrocento inceneritori – secondo i rilievi dell’Università di Padova – bruciano ogni anno dai 30 ai 100 milioni di metri cubi di gas di scarto associati all’estrazione di idrocarburi, a temperature che superano anche i 100 gradi. «ce n’è uno anche qui vicino, ad appena un chilometro dal Vescovado», incalza il vescovo Celmo Lazzari, vicario episcopale di Sucumbíos. Alcuni effetti sull’ecosistema sono già palesi e colpiscono le comunità più povere. Due anni fa è esondato il Rio Pano, spazzando via le case di duemila abitanti di una favela di Tena. Non è un caso raro: è la conseguenza del disboscamento, oggi un po’ arginato da nuove leggi più volte alla tutela dell’ambiente. Ma il danno subito è consistente e comincia nell’Amazzonia alta, perché in Ecuador la foresta parte dalle Ande, a quattromila metri, e scende fino alla costa, con una natura molto variegata e una riserva di biodiversità unica al mondo. «Gli alberi – spiega Ylenia Torricelli, referente Engim Ecuador – trattengono l’acqua e la rilasciano piano piano; se vengono a mancare, l’acqua scende a valle a grande velocità, facendo straripare i fiumi».

Oggi Texaco in Ecuador non c’è più; ci sono nuove compagnie partecipate dallo Stato. «Sono state accordate concessioni petrolifere nelle terre ancestrali degli indigeni», dice Mauricio López Ortega, segretario esecutivo della Repam (Rete ecclesiale panamazzonica), incontrato a Quito, in Ecuador, ma in questi giorni in Italia per partecipare al Sinodo sull’Amazzonia. «Non è questione né di destra, né di sinistra. Le politiche estrattive riguardano tutti i governi – continua -. In America Latina la tendenza generale è a intensificare lo sfruttamento delle risorse naturali senza preoccuparsi dell’impatto ambientale, senza garantire un’equa redistribuzione dei profitti e senza consultare le popolazioni interessate».

© 2019 Testo e foto di Romina Gobbo

pubblicato su Avvenire – Catholica – sabato 26 ottobre 2019

 

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