«Mi si presentò alla mente che Gesù morì ignudo sulla croce, perciò sentii desiderio di povertà, di abbandonare tutto». Era già sacerdote Luigi Maria Palazzolo, quando ebbe la “folgorazione”, come la chiamano le sue suore, le Poverelle di Bergamo. Nato il 10 dicembre 1827 e morto il 15 giugno 1886, beatificato nel 1963 da papa Giovanni XXIII, verrà presto canonizzato dopo l’annuncio di papa Francesco nel Concistoro di lunedì 3 maggio, a seguito del riconoscimento, per sua intercessione, della guarigione “scientificamente inspiegabile” di suor Gianmaria Perani, avvenuta a gennaio 2015. «Don Luigi era di famiglia benestante», spiega la postulatrice suor Linadele Canclini, 78 anni, da 54 nella congregazione, «ma a Roma in una notte di preghiera nella chiesa di Sant’Eusebio decise di abbandonare tutto. Nelle sue note spirituali scrive di aver visto nel Cristo Crocifisso il volto di tutti i poveri della sua Bergamo». Siamo nella seconda metà dell’Ottocento, l’agricoltura stava cedendo il passo all’industria, ma aveva favorito lo sfruttamento minorile e delle donne. La città era afflitta da grande povertà e l’analfabetismo era diffuso. Don Luigi sceglie il quartiere più popoloso e disagiato, San Bernardino, in via della Foppa, dove oggi il suo corpo riposa nella chiesa della casa madre della congregazione per avviare il primo oratorio con i ragazzi abbandonati.
Li chiamava con tenerezza e rispetto i “poverelli”, e a loro dedicherà tutta la vita. «Era un tipo piacevole, gustoso, insegnava catechismo con i burattini – riprende suor Linadele -. Come san Giovanni Bosco, che probabilmente ha conosciuto perché sono contemporanei, anche don Luigi ha usato l’arte teatrale per trasmettere i valori cristiani. Grazie alla sua passione per le vocazioni, quaranta dei suoi ragazzi sono diventati sacerdoti». Successivamente, maturò l’idea di occuparsi anche delle ragazze. Chiese aiuto a Teresa Gabrielli, vice superiora della Pia Opera di Santa Dorotea (Venerabile dal 2019). Insieme a lei, nel 1869, il 22 maggio (data poi scelta per la memoria liturgica di don Luigi) iniziò l’attività dell’Istituto delle Suore Poverelle, il cui programma era chiaro: «Io cerco e raccolgo… dove altri non giunge perché dove altri provvede lo fa assai meglio di quello che io potrei fare, ma dove altri non giunge, cerco di fare qualcosa io così come posso».
«Significa aiutare tutti i poveri ovunque – chiarisce suor Linadele -. Don Luigi ha sempre avuto il desiderio di andare oltre. La missione ad gentes per noi però è iniziata molto dopo la sua morte, nel 1952. Il gesuita padre Giuseppe Greggio ci chiese aiuto per lo Zaire, l’attuale Repubblica Democratica del Congo. Partirono le prime cinque suore, perché per noi la linea d’azione rimane quella tracciata: “arrivo dove altri non arrivano”». Sono poi arrivate in Costa D’Avorio, in Malawi, Kenya, Burkina Faso, Brasile, Perù. Nel Congo hanno pagato un duro prezzo.
Era la primavera 1995 quando scoppiò un’epidemia di ebola; tra il 25 aprile e il 28 maggio morirono sei Poverelle: suor Floralba Rondi, suor Clarangela Ghilardi, suor Dinarosa Belleri, suor Danielangela Sorti, suor Annelvira Ossoli e suor Vitarosa Zorza. Il 20 febbraio e il 17 marzo scorsi, la Chiesa le ha riconosciute Venerabili. Tutte infermiere missionarie, accorsero all’ospedale di Kikwit, a 500 chilometri dalla capitale Kinshasa. Un edificio di 11 padiglioni con 400 posti letto che, nei momenti di emergenza, accoglieva anche mille pazienti. La catena di morte fu spezzata dal vescovo di Kinshasa, che impedì ad altre suore di raggiungere l’epicentro dell’epidemia.
«Come si fa a non soccorrere le proprie consorelle?», continua suor Linadele, che è anche postulatrice della loro causa di beatificazione. «La loro dedizione è stata totale, un amore incondizionato verso il prossimo, hanno continuato a curare i malati e ad assistersi l’una con l’altra fino alla fine, anche se il personale le sconsigliava. Ci eravamo procurate un fax e seguivamo costantemente con apprensione quanto accadeva. Il 10 maggio fu chiaro che si trattava di ebola, un’infezione letale. A giugno, con la madre generale Gesuelda Paltenghi riuscimmo finalmente ad andare in Congo. L’ambiente era ancora spettrale. Il virus aveva colpito 220 persone, 176 erano morte, tra cui le nostre consorelle. Sono tornata altre volte a pregare sulle loro tombe, davanti alla Cattedrale di Kikwit. Il loro ricordo è fortissimo nel cuore dei congolesi. La loro testimonianza evangelica ha toccato il mondo».
Sei figure eroiche che, se fossero state ancora tra noi, non avrebbero esitato a correre negli ospedali a combattere il coronavirus, che ha falcidiato Bergamo nel 2020 e che si è portato via anche trenta Poverelle. Ma la loro casa di cura “Beato don Luigi Maria Palazzolo” non ha mai smesso di accogliere i malati per i quali altrove non c’era posto. «Per noi è stato normale aprire le porte, è il nostro fondatore che ce lo insegna. Nelle costituzioni delle congregazioni – don Luigi aveva fondato anche un istituto maschile, i Fratelli della Sacra Famiglia, estintosi nel 1928 – ai primi tre voti soliti aveva aggiunto di adoperarsi con i malati più poveri anche in tempi di malattie contagiose. Al tempo del fondatore c’era la scabbia, in Africa ebola, oggi il Covid», conclude suor Canclini. Con l’auspicio che in futuro per le Poverelle di “contagiosa” ci sia solo la santità.
© 2023 Romina Gobbo
pubblicato su Credere – anno XCI – numero 20 – domenica 16 maggio 2021 – pagg. 26, 27 e 28

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