«Se non ci si affida, si viene sopraffatti dal senso di impotenza, dice Francesco Barone, docente universitario che ha all’attivo quasi 60 missioni umanitarie portate a termine solo grazie all’aiuto di Dio»
«C’è un angolo di mondo che non interessa a nessuno, dove milioni di donne e bambini sono vittime di violenze, mentre un altro angolo di mondo vive nel lusso e resta indifferente. Da quarant’anni ormai mi ritrovo immerso nel destino di coloro che non trovano mai posto nella vita degli altri. Una “vocazione” che non può che arrivare dall’alto».
Francesco Barone, abruzzese, 61 anni, docente di Pedagogia sociale della cooperazione internazionale presso il Dipartimento di scienze umane dell’Università dell’Aquila, è da poco partito per la sua 58esima missione in Africa. «Tutto è cominciato nel 1998 con il primo viaggio in Ruanda per avviare dei progetti per conto del Comune di Roma. Ma la parte più importante della mia attività umanitaria riguarda gli ultimi dieci anni, durante i quali mi sono speso nella Repubblica Democratica del Congo, in particolare a Goma, nel nord Kivu,. Con la mia associazione Help senza confini, abbiamo portato medicinali, abiti, materiale didattico; abbiamo costruito scuole; abbiamo pagato l’assistenza sanitaria alle famiglie che non erano in grado di farlo; abbiamo sostenuto gli orfanotrofi e sensibilizzato sul problema delle donne vittime di violenza e dei bambini sfruttati nelle miniere».
IL SOCCORSO DELLA PREGHIERA
Dopo l’incontro nel 2019 con il medico congolese Denis Mukwege, premio Nobel per la pace 2018 per il suo impegno a favore delle donne vittime di stupri di guerra, Barone si è fatto portavoce delle sue istanze fino al Parlamento europeo. All’opera umanitaria si è aggiunta quella di denuncia. «Tutto questo non sarebbe stato possibile senza un “aiutino”, che chiedo costantemente con la preghiera. In Africa non si resiste se non si prega, altrimenti si viene sopraffatti dal senso di impotenza. Io sono solo un operaio, è l’”ingegnere” che guida. Sono ben consapevole che quest’opera non è esclusivamente mia».
Barone ringrazia anche la moglie Cinzia e il figlio Bruno: «Sarebbe impensabile poter fare un’esperienza così prolungata senza avere il sostegno della famiglia. Mi resta il dispiacere di aver lasciato mio figlio tante volte. Ma, dopo aver visto, non si può restare indifferenti. Penso che la fede abbia due direzioni: quella verticale è la relazione con Dio, quella orizzontale è la relazione col prossimo, di cui bisogna prendersi cura con azioni concrete, che permettono di restituire speranza a chi vive in condizioni di estrema vulnerabilità».
Tanti gli episodi drammatici e tante emozioni, come quella volta in cui un ragazzo barcollò davanti all’auto di Barone, e poi cadde a terra bocconi: «Corsi da lui. Lo girai. E vidi nel suo volto quello di mio figlio. Piansi».
COSTRUIRE LA PACE
Cinquantasette viaggi sono una vita intera. «Da una parte si torna felici e rinforzati emotivamente; dall’altra, c’è uno stato di inevitabile frustrazione, perché si resta costantemente nel dubbio di non aver fatto abbastanza». La paura è un sentimento costante perché la Repubblica Democratica del Congo è un paese insicuro, preda di conflitti violenti per il controllo delle abbondanti risorse naturali. «Ho voluto andare dove è stato ucciso il nostro ambasciatore Luca Attanasio. La pietas cristiana mi ha suggerito di portare un fiore». L’esperienza umanitaria però ha senso se non rimane fine a sé stessa. «C’è differenza tra viaggio umanitario e missione umanitaria. Il primo è un’”andata e ritorno”. La missione umanitaria è un impegno costante, attraverso attività di sensibilizzazione, la difesa della pace e dei diritti umani. Andare in Africa per portare aiuti e poi, quando si torna a casa essere, ad esempio, litigiosi, non ha senso. È un corpo sporco con tanto profumo addosso. Il rispetto me l’hanno insegnato i miei genitori, ma l’ho imparato anche dagli africani. Così come ho imparato ad essere più riflessivo, ad apprezzare l’essenzialità e a capire il concetto di non eternità terrena, riflettendo sul tempo che abbiamo a disposizione per utilizzarlo al meglio».

Barone collabora alla preparazione di un pasto
La pace non la si predica, la si fa: è questa una delle frasi a cui è più affezionato. «Alla nostra attenzione c’è sempre e solo lo stesso conflitto europeo. Ma in Africa di conflitti ce ne sono tantissimi, considerati di serie B. Il problema sono le armi. Se si costruiscono, lo si fa per usarle. Bisogna arrivare ad una seria politica del disarmo, parlando di pace in termini di concretezza come fa il Papa. Ogni volta che ritorno in Africa, chiedo a Dio “Perché mi hai riportato un’altra volta qui?” poi alzo gli occhi al cielo, e mi sembra che il Padre eterno sorrida assieme a me».

Il professor barone con un uomo e una donna congolesi
© 2023 Romina Gobbo
pubblicato su Credere – numero 28 – domenica 9 luglio 2023 – pagg. 26 e 27


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