Vittorio Veneto. Il prosecco che odora di spiritualità

Chi dice Marca trevigiana, dice prosecco. Questo territorio del Nordest d’Italia, tra Venezia e le Dolomiti, disegnato dalle viti, è dal 2019 iscritto nella lista dell’Unesco come Patrimonio dell’umanità. Parliamo delle colline in provincia di Treviso, che si estendono tra le città di Conegliano, Vittorio Veneto e Valdobbiadene. In questo scenario unico è frequente imbattersi in abbazie, santuari, oratori, conventi e monasteri, spesso antichissime testimonianze della devozione popolare.

E qui troviamo la Vigna di Sarah della giovane imprenditrice Sarah Dei Tos, che produce prosecco rigorosamente biologico. Proprio sul rispetto della biodiversità e dei ritmi della natura si basa il sodalizio nato con il monastero cistercense dei santi Gervasio e Protasio di San Giacomo di Veglia, frazione di Vittorio Veneto. Un sodalizio che ha dato origine al Prosecco Docg Abbazia. Colore giallo paglierino, perlage finissimo e persistente, profumo minerale con presenza di fiori bianchi, e frutta a pasta bianca. Ideale con crostini di radicchio e formaggio Piave mezzano.

Così il vino ha fatto capolino fra le mura del monastero aperto dal 1909, aggiungendosi alle produzioni di miele, lavanda e aloe. La madre superiora, la brasiliana suor Aline Pereira Ghammachi, 38 anni, mente pragmatica e una laurea in Business administration, ha deciso di vinificare, potendo contare sulla presenza di un antico vigneto di tremila metri quadri, circa 3.000 viti per ettaro, la cui uva, unita a quella della Vigna di Sarah, fornisce vino per una media di 6-7.000 bottiglie l’anno. Il Prosecco Docg Abbazia è stato lanciato a dicembre 2022, alla presenza del vescovo della diocesi di Vittorio Veneto, Corrado Pizziolo, e del presidente della Regione Veneto, Luca Zaia, che di prosecco se ne intende assai.

«Il progetto culturale è più ampio – spiega la superiora -. Vogliamo far conoscere questo luogo di preghiera e di arte. Organizzeremo visite guidate e degustazioni, in un’ottica di riflessione e spiritualità, e in momenti ben precisi, perché il monastero è di clausura». Le monache più giovani lavorano nel vigneto, le altre pregano per la sua buona produzione. «La nostra spiritualità va declinata nell’umanità di Cristo, ed è perciò soprattutto concretezza. Per noi preghiera e lavoro sono complementari. Così i nostri filari crescono supportati da cura, amore e lode al Signore», conclude la superiora.

© 2023 Romina Gobbo

pubblicato su BenEssere – settembre 2023 – pagina 104

Lascia un commento