«Sentivo qualcosa dentro, ma non riuscivo a capire che cosa fosse, finché un sacerdote della mia parrocchia me l’ha chiarito: si chiama vocazione». Parte da qui la scelta di Marco Fiorentino, 59 anni, marito di Giovanna, di intraprendere, in diocesi a Vicenza, il cammino per il diaconato permanente, il cui referente diocesano è don Giovanni Sandonà. Un impegno importante, sia dal punto di vista personale che di formazione teologica. «Ma non è un peso che piega la persona – aggiunge –, perché
si condivide in famiglia, e si è sorretti dallo Spirito Santo». Fiorentino è uno dei sei diaconi permanenti che oggi, alle 15, in Cattedrale a Vicenza, vengono ordinati dal vescovo Giuliano Brugnotto. «È significativo che l’ordinazione avvenga in una festa mariana – dice -, perché Maria, rispondendo al progetto
di Dio su di lei, si è riconosciuta come la “serva” del Signore. Diacono significa, appunto, “servitore” del Vangelo nella Chiesa per le necessità del mondo». «L’ordinazione è la fine di un percorso ma è, soprattutto, l’inizio di uno nuovo – dice Mauro Addondi, 59 anni -. Il diacono è chiamato a riconoscere le richieste, i bisogni, i desideri di chi appartiene alla sua comunità, e a farsene carico».
Non salgono sull’altare, ma le vere “protagoniste” sono le mogli perché, senza il loro consenso, non ci può essere ordinazione. «Sono molto emozionata, è davvero una grande gioia» aggiunge la moglie di Addondi, Orietta. «Sono felice ma, allo stesso tempo, ho un po’ di pesantezza nel cuore, perché mio suocero ha avuto qualche problema di salute – racconta Federico Dalla Motta, 48 anni, marito di Marzia -. Ma questo mi ha reso più consapevole. Sto per ricevere lo Spirito Santo, ma resto me stesso, immerso nella mia quotidianità, che è fatta anche di fragilità. Ben vengano il rito, il riconoscimento sociale,
ma è un cambiamento intimo quello che deve avvenire. Dopo 21 anni, ho mollato un lavoro
in banca per dedicarmi all’insegnamento. Volevo spendermi per qualcosa che abbia un senso. Lo
considero un frutto di questo mio percorso». «Si tratta certamente di una scelta fatta con la moglie,
ma è anche molto personale, perché ci metti la faccia, confermi davanti al vescovo, alla tua parrocchia, alla comunità diocesana che vuoi essere attivamente e fattivamente discepolo di Cristo. Che lo vuoi seguire in quella che è la sua essenza più profonda: farsi servo degli ultimi. Poi, non c’è dubbio, la famiglia, il lavoro, la tua esperienza di vita, arricchiscono la vocazione», afferma Luigi Gravino, 58 anni, marito di Donata.
«Trepidante è la parola giusta per esprimere quello che sento – dice Antonio Walter Polga, marito di Marina che, con i suoi 63 anni, è il più grande del gruppo -. La mia non è stata una folgorazione. Ho respirato molto la spiritualità di don Ottorino Zanon che, proprio a Vicenza, fondò la “Pia Società San Gaetano”. Lui, profetico, sognava il diaconato permanente, fin dagli anni ‘40. In me ha lasciato un segno, un desiderio che ho compreso negli anni successivi e che oggi trova compimento». «Vengo da una famiglia cattolica. Poi, inaspettatamente, è arrivata la chiamata. Qualcuno ha visto qualche possibilità in me, ha visto qualcosa che andava oltre le mie “miserie” e lo ha voluto valorizzare. Mi sono reso disponibile ad essere un “cantiere”, fidandomi di Gesù “capocantiere”. Per lui ho accettato di mettermi al servizio dell’umanità e della Chiesa», conclude Paolo Zancan, 57 anni, marito di Lara.
© 2023 Romina Gobbo
pubblicato su Avvenire – Catholica – venerdì 8 dicembre 2023 – pag. 28


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