Svolta autocratica sventata, ma Sall resta in campo

Il rinvio del voto al 2025 è stato bocciato da tutta la comunità internazionale

Il Senegal dopo un periodo di forte tensione ora attende la data delle elezioni presidenziali che sarà stabilita dopo la convocazione del dialogo nazionale di pacificazione. Dopo che considerando illegale un rinvio di dieci mesi, il Consiglio costituzionale del Senegal, massima autorità elettorale, ha annullato il decreto del presidente Macky Sall che posticipava il voto al 25 febbraio 2025, quest’ultimo
sembra essere sceso a miti consigli. Probabilmente anche perché si è ritrovato isolato, contestato dall’Ecowas dall’Ue, dagli Usa e dalla diaspora senegalese. Considerato dalla comunità internazionale alla stregua dei golpisti del Sahel. Ma Sall è isolato anche internamente, perché sembrano non sembrano essere dalla sua parte neppure i leader della Muridiyya e della Tijaniyya, le due confraternite islamiche più diffuse nel Paese, molto influenti nella vita politica. Si vocifera che nessun uomo politico, deputato o presidente, possa essere eletto senza il loro riconoscimento. La decisione di Sall di rinviare le elezioni
previste per fine anno, non è piaciuta né all’opposizione, né alla popolazione, orgogliosa della propria Costituzione, soprattutto là dove afferma che «la sovranità nazionale appartiene al popolo senegalese che la esercita attraverso i suoi rappresentanti, o per via referendaria». Le controversie sulla formazione della lista finale dei candidati presidenziali addotte da Sall per motivare il rinvio, da più parti sono state
ritenute una scusa. Guarda caso, da questa lista erano – e sono ancora – esclusi alcuni candidati, tra cui Ousmane Sonko, leader del partito all’opposizione Pastef (sciolto dalle autorità), in prigione dal 2021 con accuse poco chiare. Insomma, anche Sall ha dimostrato di non voler lasciare il potere nel termine stabilito, ad aprile, un comportamento comune a molti leader africani. L’Africa detiene il primato dei presidenti più longevi. Spesso le Costituzioni non prevedono un tetto di mandato e, anche quando lo prevedono, chi sale al potere, si premura di estenderlo a proprio favore. Yoweri Museveni, presidente dell’Uganda, è al
sesto mandato, governa dal 1986. Il Senegal, però, è un Paese diverso, almeno lo è stato finora. Dal 1963, quando dopo l’indipendenza dalla Francia, venne eletto primo presidente Léopold Senghor, in quella che è definita dall’ordinamento come una Repubblica democratica semipresidenziale e multipartitica, si è sempre verificata una successione al potere pacifica, con elezioni libere e trasparenti. Ecco perché la
decisione del presidente è stata bollata come «un colpo di Stato», e ha portato la gente in piazza, furiosa anche perché quando Sall andò al potere nel 2012, si era presentato come un innovatore, pluralista, aperto alla vivacità del dibattito politico. Invece, il dissenso è stato represso con la forza, come
avviene nelle autocrazie. I manifestanti sono stati respinti con i gas lacrimogeni, una quindicina le vittime. Ma il pugno duro le forze di sicurezza lo avevano già utilizzato, il 5 febbraio, in Parlamento, rimuovendo i deputati che si opponevano all’approvazione del disegno di legge (passato con 105 voti su
165) che legittima il rinvio del voto. C’è un altro fattore che non va sottovalutato. Una decina di anni fa, circa, al largo delle coste del Senegal, sono stati trovati giacimenti di gas e petrolio. Questo ha spinto l’economia del Paese, prima basata solo sull’esportazione di arachidi. Facile pensare che Sall voglia essere della partita.

© 2024 Romina Gobbo

pubblicato su il Giornale di Brescia – Primo Piano – giovedì 29 febbraio 2024 – pag. 5

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