Nel libro”J’accuse” Francesca Albanese, relatrice speciale Onu, parla di “apartheid e genocidio”
PADOVA. Il divieto di entrare nei Territori palestinesi occupati, annunciato da Israele, non ferma il lavoro di investigazione e di divulgazione di Francesca Albanese, Relatrice speciale delle Nazioni Unite sulla situazione dei diritti umani su quei Territori. «È dal 2008 che lo Stato di Israele impedisce l’ingresso ai Relatori speciali. Perciò il recente annuncio di ‘vietare ufficialmente’ il mio ingresso, è simbolico e fuorviante», ha dichiarato. Quanto è accaduto il 7 ottobre 2023, con l’attacco di Hamas a Israele, ha reso il suo lavoro molto più difficile.
L’abbiamo incontrata a Padova una decina di giorni fa, alla presentazione del suo libro “J’accuse” (edizioni Fuori Scena), scritto con Christian Elia. A un numerosissimo pubblico, soprattutto di studenti universitari, ha spiegato le ragioni di un conflitto che viene da lontano. Scomoda, attaccata da più parti, zittita nelle trasmissioni televisive, Albanese ha dalla sua il diritto internazionale.
DUALISMO LEGALE. «Sono poche le cose che ci consentono di difenderci in modo pacifico, una di queste è il diritto, che ci permette di separare ciò che è giusto da ciò che non lo è, ciò che si può fare da ciò che è vietato». Ed è proprio perché forte dell’analisi giuridica, che la Relatrice può usare termini come apartheid, colonialismo di insediamento, genocidio. «La vicenda sudafricana ha dimostrato come l’esperienza coloniale che diventa sistema istituzionalizzato di segregazione, di discriminazione razziale, porti a una violenza strutturale. Da allora, l’apartheid è un crimine per il diritto internazionale. L’ossatura dell’apartheid israeliana sta nell’avere imposto il dualismo legale. Perciò gli israeliani trasferitisi negli insediamenti per soli ebrei costruiti nel Territorio palestinese occupato (e non dovrebbero neppure essere lì), vedono applicata la legge civile israeliana, con servizi, scuole, acqua, forniti dallo Stato, mentre i palestinesi non hanno accesso alle risorse, e necessitano di permessi speciali per qualsiasi cosa, sia che vogliano costruirsi la casa o che desiderino andare a studiare all’estero, e sono soggetti alla legge militare. È così che un milione di palestinesi – tra cui molti bambini sotto i 14 anni – sono stati arrestati nell’arco di 56 anni».
C’è un altro termine che lei usa, colonialismo di insediamento. Che cosa significa esattamente?
«Il colonialismo è l’esperienza storica di cui si è fatta portatrice l’Europa per 500 anni, andando nel resto del mondo a soggiogare popoli, sfruttandone le risorse e a volte insediandovisi. Questo è il colonialismo di insediamento. Questo è quello che fa Israele, che occupa militarmente la Striscia di Gaza, la Cisgiordania e Gerusalemme Est dal 1967, dalla Guerra dei Sei Giorni».
Che situazione vive oggi Gaza?
«Da quando Israele ha cominciato a bombardare, oltre a morti e feriti, ci sono 2 milioni di persone che non hanno più cibo a sufficienza; 2 milioni di persone sono state sfollate dalle proprie case; tutte le università, le scuole, i forni per produrre cibo, la flora ittica, i terreni, le moschee, le chiese, tutto è stato distrutto. Perché? Questa non è un’esigenza militare, questo è un genocidio; la distruzione di un popolo, in tutto o in parte, è genocidio. Quello che ha fatto Hamas va condannato, ma va anche contestualizzato in tutti questi anni di occupazione israeliana della Palestina».
Israele è considerata l’“unica democrazia del Medio Oriente”. Ma lo è davvero?
«Sicuramente è l’avamposto occidentale in Medio Oriente. In quanto ad essere una democrazia, bisogna capire che cosa si intende, perché c’è una democrazia formale e una democrazia sostanziale. I palestinesi che possono votare sono solo quelli che vivono all’interno dello Stato di Israele, sono meno di due milioni, e sono comunque discriminati. Perché dal 2018 una legge riconosce Israele come lo Stato degli ebrei, e quindi c’è differenza tra chi è ebreo e ha pieni diritti, e chi ha il passaporto israeliano, ma ebreo non è. Inoltre, i palestinesi che vivono a Gaza, in Cisgiordania e a Gerusalemme est – cinque milioni di persone – non votano, e sono sotto il controllo israeliano. In una democrazia a tutti gli effetti non ci possono essere cittadini di serie B».
Come se ne esce?
«È dalle grandi tragedie che può anche nascere la speranza. Questo è il buio di mezzanotte. Quanto tempo ci vorrà per l’alba? Non lo sappiamo, però gli obblighi internazionali sono chiari e il diritto dei popoli all’autodeterminazione è centrale. È necessario che vengano prese misure per garantire che Israele si conformi al diritto internazionale, e metta così fine al suprematismo, poi il modo di vivere assieme israeliani e palestinesi lo troveranno».
Quegli esperti che garantiscono imparzialità e indipendenza
I relatori e le relatrici speciali dell’Onu sono esperti indipendenti e imparziali, ognuno responsabile di monitorare una categoria specifica di diritti umani o un’area tematica. Il mandato può riguardare un paese (i diritti umani in Palestina, appunto), o un tema (ad esempio, il diritto al cibo e il diritto alla privacy, la libertà di riunione, il razzismo e la violenza contro le donne). Il mandato delle Nazioni Unite è “indagare, monitorare e riferire su questioni relative ai diritti umani, conducendo attività attraverso procedure speciali che includono denunce individuali, attività psicologiche e manipolazione da parte dei media controllati e del mondo accademico; condurre ricerche e sondaggi, fornire consulenze sulla cooperazione tecnica a livello nazionale, e svolgere attività promozionali generali”. Il Comitato di coordinamento delle procedure speciali nomina semplicemente questi titolari di mandato e di altri ruoli di solito da ogni regione del pianeta.
© 2024 Romina Gobbo
pubblicato su il Giornale di Brescia – Primo Piano – venerdì 29 marzo 2024 – pag. 5


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