Donne afghane e diritti negati. L’islam frainteso dai talebani

Alla base, confusione tra dettato del Corano e shari’a, ma pure timore della donna

«Fustigheremo le donne che hanno commesso adulterio. Le lapideremo in pubblico». Il 30 marzo 2024 questa dichiarazione del leader supremo dei talebani in Afghanistan, il mullah Hibattullah Akhundzada, si guadagna le prime pagine dei giornali. «A parte che non è chiara la fonte di
tale annuncio, va sottolineato che le lapidazioni avvengono da sempre nelle zone rurali, con un’intensificazione dopo la restaurazione del regime, nel 2021. Da allora, i diritti delle donne sono andati sempre più restringendosi», afferma Flavia Mariani, Communication & Media Advisor della onlus
Nove Caring Humans, che si occupa di donne afghane in patria, e rifugiate. Ancora una volta, poi, si fa confusione – in maniera strumentale – tra quello che dicono il Corano e la shari’a (legge sacra della religione islamica, ndr) e il “codice morale”, che connette le varie tribù ed etnie afghane.
Afferma Elisa Giunchi nel suo libro “Afghanistan. Da una confederazione tribale alle crisi contemporanee” (Carocci, 2021): «In tutto il Paese, al di là dell’eterogeneità etnica e dei particolarismi regionali, l’onore definisce il prestigio del qawm (viene tradotto con tribù, ma in realtà il concetto
può oltrepassare i confini tribali per riferirsi a qualsiasi forma di solidarietà, ndr) e dei suoi componenti. L’onore risiede nella capacità di proteggere la proprietà su zan, zar e zamin (rispettivamente, donne, oro, terra), ed è legato in modo particolare al comportamento femminile: dipende, non
solo dalla castità delle donne nubili e dalla fedeltà di quelle coniugate, ma anche dalla modestia dei loro comportamenti e dalla loro obbedienza a padri e mariti. Ogni forma di devianza può diventare una violazione dell’onore, che si riflette su tutto il gruppo di appartenenza». Se l’onore dipende dal comportamento femminile, va da sé che, quando il comportamento non rientra nei canoni, la donna venga seriamente punita. La donna. E
l’uomo? «Il Corano è totalmente parallelo nella posizione verso l’uomo e verso la donna», spiega Ignazio de Francesco, monaco, e fra i più autorevoli islamologi italiani -. La shari’a prevede che, se un uomo e una donna – entrambi sposati – commettono adulterio, vengano lapidati tutti e due. Se invece non sono sposati, quindi il reato è la fornicazione, subiscono una quarantina di frustate. Se una ragazza nubile ha una relazione sessuale con un uomo sposato, lui viene lapidato, lei frustata. La morte è per i coniugati di ambo i sessi. La fustigazione è per chi ha commesso
fornicazione, ma non adulterio, perché non è sposato. Questa è la legge, e prevede la parità di genere». Il che non è contemplato dai talebani, che si accaniscono solo contro le donne. «Si sono radunati volontariamente nella confraternita esclusivamente maschile che i leader talebani hanno
creato – scrive lo storico e scrittore pakistano Ahmed Rashid nel suo libro “Talebani” -. Sono orfani cresciuti senza donne – senza madri, sorelle,
cugine -. Si sentono minacciati da quella metà del genere umano che non hanno mai conosciuto, ed è quindi molto più facile rinchiuderla questa metà, soprattutto se a ordinarlo sono i mullah che ricorrono a primitive ingiunzioni islamiche prive di fondamento nella legge coranica».
Per procedere alla pena della lapidazione o della fustigazione, serve anche la denuncia, e dev’essere molto circostanziata. «Devono esserci quattro testimoni dell’atto della penetrazione – continua de Francesco -. Non basta vedere i due nudi nel letto, i testimoni devono assistere all’atto sessuale. Chiaro che è quasi impossibile. Ma non solo. Stiamo parlando di un reato capitale molto grave, eppure i giuristi dicono: «Se i testimoni si
accordano per lasciar perdere, è meglio». Perché, per l’islam è più dannoso per la comunità lo scandalo sociale che si produce denunciando – pensiamo se fosse il figlio dell’emiro – che l’applicazione della pena. A noi può sembrare ipocrita, ma le norme giuridiche funzionano così. Se c’è la
denuncia, la pena va applicata, ma – dicono i giuristi – noi consigliamo di non denunciare». Il Corano e la shari’a, dunque, ci pongono di fronte la complessità della religione islamica. «Ho lavorato con i detenuti musulmani del carcere di Bologna – conclude de Francesco -. A loro dicevo: l’islam non è quello che conosci tu, che hai visto praticare nel tuo villaggio. Uno trasforma in islam le cose che ha sentito dire da suo padre, da suo zio o da qualche imam, che magari è ignorante. Questo succede perché l’islam è una religione di diritto. Avendo tante regole, uno finisce per far passare come regola quello che ha sentito in casa».

© 2024 Testo e foto di Romina Gobbo

pubblicato su Il Giornale di Brescia – martedì 23 aprile 2024 – pagina 7

Lascia un commento