Giornata mondiale: infuriano le guerre, aumenta il conto dei giornalisti uccisi
Journalists are #NotATarget: questo l’hashtag coniato dal Committee to Protect Journalists, organizzazione senza scopo di lucro, che promuove la libertà di stampa in tutto il mondo. Libertà mai come oggi a rischio. I conflitti tra Israele-Hamas e Russia-Ucraina hanno evidenziato quanto sia pericolosa per i giornalisti la ricerca della verità. Dal 7 ottobre 2023, a Gaza sono morti 99 tra giornalisti e operatori dei media. Le Forze di difesa israeliane (Idf) avevano subito dichiarato alle agenzie di stampa Reuters e Agence France Press «di non poter garantire la sicurezza dei giornalisti che operano nella Striscia». Niente di nuovo. Sono decenni ormai che la scritta press non protegge, anzi, «attira» il pericolo.
Con questo bagaglio pesante, i giornalisti di tutto il mondo celebrano questo 3 maggio, la 31esima Giornata mondiale della libertà di stampa, il cui focus è l’importanza della narrazione giornalistica della crisi ambientale globale. Un focus interessante, visto quanti giornalisti sono vittime del proprio impegno per l’ambiente. Il corrispondente del «The Guardian», Dominic Marc Phillips (Dom), è uno di questi. È stato ucciso a giugno 2022, assieme all’attivista brasiliano, Bruno Pereira, mentre indagava sulle crescenti minacce a cui sono sottoposte le popolazioni indigene. Amnesty International ha indetto una raccolta firme a sostegno della libertà di informazione, dedicata a quattro giornalisti «temerari». Il messicano Alberto Amaro Jordán, direttore della testata digitale La Prensa de Tlaxcala (si è distinto per le sue coraggiose inchieste sul traffico di esseri umani e sulla schiavitù sessuale nel suo Paese), dopo una serie di minacce, aggressioni e arresti, è costretto a vivere blindato. Maria Ponomarenko è una giornalista russa della testata online «RusNews». Ha pubblicato sul canale telegram, «Nessuna censura», un video del bombardamento russo sul teatro di Mariupol. È in carcere dal 24 aprile 2022 perché, per le autorità, ha diffuso “informazioni consapevolmente false sulle Forze armate russe”. Nidal al-Waheidi e Haitham Abdelwahed, sono stati arrestati dalle forze israeliane il 7 ottobre 2023, mentre documentavano l’attacco guidato da Hamas. Da allora le autorità israeliane si rifiutano di rivelare il luogo in cui si trovano e le ragioni del loro arresto. Sono tanti i modi per imbavagliare i giornalisti.
Non serve un’esecuzione che finirebbe con l’attirare l’attenzione della comunità internazionale, e far avviare inchieste. Pensiamo a Ilaria Alpi, o ad Anna Politkovskaja. È sufficiente un arresto. Il più noto è Julian Assange, ma dietro alle sbarre del mondo, ci sono molti altri colleghi. La Cina, che non ama i giornalisti, preferisce detenere quelli di etnia uigura, con accuse di spionaggio, incitamento al separatismo e sovversione
del potere statale. In Myanmar, la Giunta militare al potere dal 2021, ha fatto piazza pulita dei media indipendenti: chiuse le agenzie di stampa, arrestati e costretti all’esilio i giornalisti. Il turco Ahmet Altan, ex direttore del quotidiano Taraf, critico nei confronti del presidente
Erdogan, è stato condannato all’ergastolo, con l’accusa di aver favorito il colpo di stato del luglio 2016. In Iran, per aver raccontato la morte di Mahsa Amini, sono state arrestate le reporter Niloofar Hamedi ed Elaheh Mohammadi. Uscite su cauzione, sono di nuovo sotto accusa
per essere apparse senza l’hijab. Eskinder Nega, giornalista etiope, ha pagato con nove arresti e la chiusura di quattro sue testate, la sua lotta per la libertà di stampa nel suo Paese.
Poi ci sono i rapimenti. Qualcuno come Domenico Quirico, della Stampa, è tornato. Il messicano Roberto Carlos Figueroa, sequestrato una decina di giorni fa, è stato ucciso nonostante la famiglia avesse pagato il riscatto. Il Messico vanta il triste record di omicidi e sparizioni di giornalisti. Il tutto nella totale impunità. In Somalia, i giornalisti si trovano tra due fuochi: minacciati dal gruppo estremista al-Shabaab e perseguitati dalle forze di sicurezza della polizia governativa, che non ama i “curiosi”. In Italia, secondo Ossigeno per l’Informazione, dal 2006 a oggi, sono settemila i giornalisti minacciati. A volte pagano anche i familiari. Wael al Dahdouh, capo dell’ufficio di al-Jazeera per Gaza, ha perso quattro membri della sua famiglia a causa di un bombardamento israeliano sul campo profughi di Nuseirat.
Senza arrivare ad azioni eclatanti, per fermare un giornalista, basta semplicemente privarlo di visto con una scusa anche banale, o paventare una querela temeraria, dalla quale soprattutto i freelance, viste le loro magre entrate, non sono in grado di difendersi.
© 2024 Romina Gobbo
pubblicato su Il Giornale di Brescia – venerdì 3 aprile 2024 – pagina 9


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