Grazie a Patrizio Righero, direttore di Vita Diocesana Pinerolese, per questa bella intervista
Parla Romina Gobbo, vincitrice del premio internazionale “Padre Jacques Hamel”
GIORNALISTA PROFESSIONISTA FREELANCE e saggista, Romina Gobbo si occupa di diritti umani, parità di genere, diritti dei minori, immigrazione,
disabilità e dialogo interreligioso. Conosce bene l’Africa sub-sahariana e il Medio Oriente, grazie a parecchi viaggi in loco, tra i quali uno in Burkina Faso per documentare l’attività di monsignor Pier Giorgio Debernardi con l’associazione Acqua nel Sahel. La sua attività è stata riconosciuta dal premio giornalistico internazionale “Padre Jacques Hamel”, intitolato al sacerdote assassinato nel 2016 a Rouen, in Francia, da due estremisti
islamici. Il premio, voluto dalla sorella di padre Hamel, Roselyne, e promosso dalla francese Fédération des Médias Catholiques, premia gli articoli che raccontano di iniziative a favore della pace e del dialogo interreligioso.
Romina, per quale articolo sei stata premiata?
«Sono stata premiata per l’articolo “L’angelo delle donne”, pubblicato nel settembre 2023 sul mensile padovano Messaggero di Sant’Antonio. Si tratta di un’intervista al ginecologo congolese Denis Mukwege, premio Nobel per la pace 2018, che avevo incontrato in occasione di una sua visita in Vaticano».
Chi è Denis Mukwege?
«Si tratta di un medico ginecologo, di origini congolesi (Repubblica Democratica del Congo). È il massimo esperto mondiale nella ricostruzione interna dell’apparato genitale deturpato dopo una violenza sessuale. Con il suo staff ha curato quasi 90mila donne, fisicamente e psicologicamente, e le ha riportate alla vita grazie a una serie di progetti di formazione e di avviamento al lavoro. Per tutto questo, è conosciuto come “il medico che ripara le donne”. Ma, da quando si è reso conto che la violenza è usata come arma di guerra, è diventato anche un attivista per i diritti umani. Cerca di portare all’attenzione dei media e della comunità internazionale ciò che sta accadendo nel suo Paese, ovvero lo stupro sistematico delle donne da parte dei vari gruppi di guerriglieri che si contendono le risorse naturali e minerarie, che in Congo sono davvero notevoli. Parliamo di un conflitto che continua da trent’anni, e che ha registrato sei milioni di morti e sette milioni di sfollati interni».

Da sinistra: Sarah-Christine Bourihane (giornalista canadese premiata), Roselyne Hamel, Romina Gobbo, Jena-Marie Montel,
presidente della Federazione dei Media Cattolici, il nunzio monsignor Celestino Migliore, e don Stefano Stimamiglio,
direttore di Famiglia Cristiana, membro della giuria
Lo scorso anno Mukwege si è candidato alle presidenziali nella RDC, ma la sua avventura politica è durata poco. Che cosa è successo?
«Si è candidato, ma penso che non ci credesse neppure lui. È un personaggio troppo scomodo. Proprio per le sue denunce, dopo un periodo di esilio in Europa, oggi è costretto a vivere blindato assieme alla sua famiglia, nel compound dove si trovano le strutture della sua fondazione, la Panzi Foundation, protette dalla Monusco, la Missione Onu per la Stabilizzazione della RDC. Mukwege non ha neppure raggiunto l’1% dei voti. Ma le elezioni sono state caratterizzate dai ritardi, intimidazioni dei candidati, e con molti seggi che non si sono potuti aprire perché situati in zone a rischio. La popolazione delle zone di Rutshuru, Masisi, Kivu, Ituri non ha potuto votare, così come non hanno votato gli sfollati. Tanto che le opposizioni hanno contestato la trasparenza e la legittimità del processo elettorale. Dei 44 milioni di elettori congolesi, alla fine sono andati
a votare solo in 18 milioni. L’Economist ha parlato di “elezioni tra le più caotiche al mondo”».
Quale è attualmente lo scenario politico e sociale del Congo?
«È una situazione incandescente e pericolosissima. L’assassinio, nel febbraio 2021, del nostro ambasciatore Luca Attanasio, assieme al carabiniere Vittorio Iacovacci e all’autista del World Food Programme, Mustapha Milambo, lo ha ampiamente dimostrato. Oggi in Congo si gira solo con la scorta. La Monusco opera nel Paese dal 2010, ed è costata tantissimo rispetto agli scarsi risultati, tanto che il Consiglio di sicurezza dell’Onu, lo scorso dicembre, ha approvato il ritiro di tutti i soldati entro la fine del 2024, cioè con un anno di anticipo rispetto alla scadenza prevista. Lo scopo sarebbe stato la riconciliazione delle forze che si contrappongono militarmente nella ricchissima regione mineraria del Kivu e, soprattutto, la difesa della popolazione civile dalle violenze dei gruppi armati. In realtà, i ventimila uomini poco hanno potuto contro i 120 gruppi armati, nazionali e internazionali, tra cui le Forze Democratiche Alleate (Gruppo islamista), la Cooperativa per lo Sviluppo del Congo, e il Movimento 23 Marzo (l’M23, formato soprattutto da persone di etnia Tutsi), sostenuto da Ruanda e Uganda, e all’attenzione di Amnesty International per i suoi crimini. È così cresciuto il malcontento della popolazione nei confronti di una missione incapace di fermare i continui attacchi contro i civili. La crisi umanitaria ha raggiunto livelli drammatici. Milioni di persone hanno abbandonato i propri villaggi. Intere famiglie vivono in rifugi di fortuna, senza cibo adeguato e acqua. Con tutto ciò che comporta in termini di malattie la mancanza di igiene: si sono registrati casi di colera. E la distribuzione degli aiuti è limitata dalla mancanza generale di sicurezza. In generale, il 70% dei congolesi vive sotto la soglia di povertà, una persona su tre soffre di fame acuta, e l’aspettativa di vita si aggira sui sessant’anni. E questo nonostante il sottosuolo sia ricchissimo di diamanti, oro, coltan, cobalto e rame, necessari per far funzionare i nostri device. Tutto prende il largo, ed è davvero uno scandalo. Soprattutto, se pensiamo ai bambini che lavorano nelle miniere in condizioni inaccettabili».
Recentemente l’Unione Europea ha firmato un accordo con il Ruanda per il commercio di materie prime (soprattutto metalli rari), ben sapendo che queste materie non vengono estratte dal suolo ruandese ma da quello congolese. Che cosa c’è sotto?
«Il motivo per il quale l’Unione Europea firma accordi “a caso” mi è sconosciuto. Per l’UE il partenariato servirebbe a garantire un approccio più etico verso l’estrazione e la commercializzazione di materie prime, quali tantalio, stagno, tungsteno, oro e, appunto, terre rare. Peccato che, secondo la RDC, il Ruanda «non ha nel suo sottosuolo nemmeno un grammo di questi minerali». Pertanto, il Ruanda, attraverso l’M23, si approprierebbe delle ricchezze del sottosuolo congolese, per poi rivendersele con i Paesi esteri come prodotto locale. Questo è suffragato da Agenzie Onu e organizzazioni come il movimento locale “Lutte Pour Le Changement”, nato per garantire il rispetto dei diritti umani e una migliore governance. Se questo fosse vero, l’UE starebbe favorendo il commercio illegale di materie prime».
Vita Diocesana Pinerolese – Mondo – domenica 12 maggio 2024 – pagina 9
Foto: in copertina, Romina Gobbo con la sorella di padre Hamel


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