Quella Madonna col Bambino, inno alla maternità

La Madonna col Bambino e sei sante in muto dialogo spirituale. È una storia tutta al femminile quella che propone il piccolo dipinto, risalente alla fine del XV secolo, ritrovato qualche mese fa nei depositi del Museo Correr di Venezia. Poiché era in buona parte coperto da ridipinture e alterato da interventi posteriori, solo un occhio esperto ne poteva comprendere il valore, nonché l’impronta mantegnesca. «Quando lo vidi», spiega
Andrea Bellieni, conservatore del museo veneziano, «nonostante il cattivo stato di conservazione, notai la somiglianza del soggetto con quello di un dipinto che si trova a Boston (Usa), anche in quel caso non attribuito ufficialmente ad Andrea Mantegna, ma io credo che sia proprio suo. Non tanto per la presenza della firma, Andreas Mantinia, che è probabilmente posteriore, ma per vari indizi. Sappiamo che nel 1627 fu venduto assieme a tanti tesori mantovani. E, dopo varie vicissitudini, fu acquistato da Isabella Stewart Gardner, nel cui museo ora è conservato. Il primo pensiero fu che il nostro fosse una copia di quello americano. Poi, abbiamo cominciato a guardarlo meglio, a esaminarlo. Abbiamo effettuato radiografie all’infrarosso, l’esame ai raggi ultravioletti, le riflettografie, e ci siamo accorti che, sotto le varie rielaborazioni, c’era il disegno che, a seguito di restauro, da noi affidato alla restauratrice Milena Dean, sarebbe stato ancora leggibile e interpretabile. Fatte le opportune verifiche, abbiamo
visto che i due disegni – il nostro e quello di Boston – sono sovrapponibili in maniera assolutamente perfetta. Dunque, salta l’ipotesi della copia. I due dipinti nascono dallo stesso modello, quindi dallo stesso atelier. Facilmente sono stati realizzati dallo stesso pittore, anche se ci sono delle varianti: il nostro, per esempio, ha la particolarità di essere rimasto incompiuto».

Il dipinto, per le contenute dimensioni (cm 38×44,5) e il suo soggetto religioso, era sicuramente destinato alla devozione privata: una raffinata
immagine per le orazioni personali. Il retro è dipinto a finto marmo: questo fa pensare che anche il retro fosse a vista. Probabilmente si trattava di un oggetto da appoggio, da tenere su un altarino-inginocchiatoio, per pregare, osservandolo e, all’occorrenza, facilmente trasportabile. Una volta finita e inaugurata, l’opera sarà offerta all’apprezzamento del pubblico, nonché proposta alla ricerca e al dibattito degli studiosi, per indagare la reale natura e misura dell’impronta che in esso ha lasciato il grande maestro Mantegna – originario del Padovano, ma per quasi cinquant’anni al servizio dei Gonzaga, a Mantova –, sicuramente uno dei maggiori esponenti del Rinascimento italiano. Sono questi gli obiettivi della collaborazione
tra Fondazione G.E. Ghirardi e Fondazione Musei Civici di Venezia, col concorso della Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per il Comune di Venezia e la Laguna.

«Il dipinto si presta a due piani di lettura: quello religioso-devozionale e quello storico-biografico, con riferimento alla committenza», riprende Bellieni. «Per quanto riguarda il primo, si tratta di una sacra conversazione, un dialogo muto, spirituale: non c’è azione, ma concentrazione.
Le sante stanno leggendo. L’unica azione è quella di Giovanni Battista fanciullo che allunga le manine giunte. Dentro nasconde probabilmente un uccellino – un cardellino o un pettirosso – che porge a Gesù Bambino, il quale si ritrae come se ne avesse paura, stringendosi fra le gambe della Madre, che lo protegge col braccio. Si tratta di un’immagine molto diffusa nel Rinascimento: è la prefigurazione del sacrificio di Cristo per la
redenzione». Delle sei sante – tutte hanno un’aura di pulviscolo d’oro attorno alla testa – formanti un insolito sacro gineceo, sono chiaramente identificate solo le prime due a sinistra della Madonna: l’anziana cugina Elisabetta e Maria Maddalena, riconoscibile per i lunghi capelli biondi e
il minuscolo vasetto degli oli profumati nella mano. Esse, come l’ignota santa a destra della Vergine, portano i panni all’antica, della secolare tradizione figurativa cristiana. Invece, le altre tre sconosciute figure – una all’estrema destra con le mani giunte protese in avanti, le altre due verso il margine sinistro – vestono in ricchi ed elaborati abiti contemporanei, e hanno ricercate acconciature, secondo la moda delle corti rinascimentali italiane. «Dal punto di vista storico-biografico, il riferimento non può che essere alle donne della famiglia Gonzaga, per la quale il Mantegna lavorò in via esclusiva», riprende Bellieni. «La datazione è sui primi anni ’90 del Quattrocento. Committente è sicuramente Isabella d’Este che, nel 1490, aveva sposato Francesco II Gonzaga. È evidente che chiese all’artista un’immagine evocativa dei suoi più cari affetti familiari. Sono tutte giovani
dame che si apprestavano a generare la continuità di dinastie diverse. Erano coetanee, giovanissime e tutte in procinto di diventare madri. Con loro, le due madri per eccellenza, madri per grazia divina: la Madonna ed Elisabetta. Un dipinto, dunque, che vuole essere un augurio di prosperità
e, allo stesso tempo, un’immagine sacra da contemplare e davanti alla quale pregare, al fine di una maternità positiva. La famiglia Gonzaga era stata colpita dalla morte di parto Elisabetta, giovane cognata di Isabella, nell’agosto 1490. Dal punto di vista strettamente iconografico, il soggetto sembra legarsi al tema figurativo fiammingo della Virgo inter virgines (Vergine tra le vergini), appartenente soprattutto alle corti di Francia e Borgogna del XV secolo. Tema più raro in Italia, ma dove, specie nelle corti padane del Rinascimento, i modelli d’oltralpe erano noti, ammirati, collezionati e, appunto, talvolta richiesti anche dai pittori locali».

© 2024 Romina Gobbo

pubblicato su Maria con te – n. 21 – domenica 26 maggio 2024 – pagine 24, 25, 26


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