L’elemento religioso nel conflitto tra Mosca e Kiev è dirimente
«Se sei russo, sei ortodosso. Gli oligarchi sono ortodossi. Il presidente Putin è ortodosso». È quella che in Russia chiamano «sinfonia» di Chiesa e
Stato: la prima è detentrice dei principi morali e religiosi, il secondo assicura le leggi e l’organizzazione sociale. In realtà nella storia non ha funzionato molto, anzi, molto spesso diventa una «distonia» perché il potere politico assoggetta la Chiesa e la sfrutta a proprio vantaggio. Ma, nel caso dell’aggressione della Russia all’Ucraina, il patriarca Kirill c’ha messo del suo, soffiando sul fuoco della «terza Roma», alla quale la Russia aspira dall’inizio del Cinquecento. «Due Rome sono cadute (quella di Pietro e quella di Bisanzio). La terza (Mosca) rimane salda e non ve ne sarà una quarta», scriveva il monaco Filofej all’allora granduca moscovita Vasilij III.
Per Kirill il principio è quello della «Trinità dei popoli slavi: Russia, Ucraina e Bielorussia, inscindibili e soggetti a Mosca». Da Vladimir a Vladimir. Il Patriarca ha dettato di fatto il programma politico-ideologico alla Russia del presidente Putin con il quale condivide il nome, a partire dagli scontri in Giorgia del 2008-2009, passando poi per l’annessione della Crimea nel 2014, fino all’invasione dell’Ucraina nel 2022. «Ma, se è vero che il battesimo della Russia avviene a Kiev nel 988, è anche vero che l’Ucraina è stata anche sotto la dominazione lituana prima e polacca dopo, ed è pertanto anche permeata di cultura occidentale. A Kiev nasce infatti la prima Accademia slavo-latina», spiega Giovanni Codevilla, già professore di Diritto ecclesiastico comparato all’Università di Trieste. Il suo libro «Da Lenin a Putin» (edizioni Jaca Book), che si avvale della prefazione di Stefano Caprio, è prezioso per comprendere come l’elemento religioso sia parte integrante della guerra in corso.
Kirill, all’inizio del periodo eltsiniano, appariva come aperto e dialogante, in ottimi rapporti anche con il Vaticano, fino a chiedere a Roma la cura dei cattolici in Russia. Ma il rifiuto dell’allora nunzio apostolico trasformò il patriarca nel primo catalizzatore del risentimento russo verso gli occidentali che avevano tolto alla Russia il ruolo di super potenza politica ed ecclesiastica. La posizione di primo piano del patriarca nella stesura dei «Fondamenti della dottrina sociale della Chiesa Ortodossa Russa», approvati dal Concilio del 2000, dove, tra l’altro, si condannano le guerre di aggressione, è stata praticamente rinnegata dal suo sostegno all’invasione dell’Ucraina. «L’attuale capo della Chiesa russa, che più di tutti i patriarchi orientali punta sulla massima estensibilità del suo “territorio canonico”, rischia di diventare il primo patriarca “di una sola Russia”, o poco più, visto che la guerra ha messo fine alla sottomissione della Chiesa di Kiev a quella di Mosca. E la Chiesa ucraina da sola vale circa la metà di tutto il Patriarcato di Mosca. Perdere l’Ucraina significa, dunque, perdere presbiteri, aiuti economici e devoti. In Ucraina la partecipazione religiosa alle funzioni è diffusa, in Russia la gente si sente ortodossa, ma non frequenta», continua Codevilla. La Chiesa del Patriarcato di Mosca, retta dal primate Onufry, non più legata amministrativamente alla Russia, conta 10.900 parrocchie. La Chiesa autocefala del primate Epifanyj, che dipende dal Patriarcato di Costantinopoli, il grande avversario di Mosca nella primazia universale ortodossa, conta 8.300 parrocchie. Perse le due Chiese di Kiev, la «guerra canonica» interna all’ortodossia oggi si gioca in Africa, dove Kirill ha nominato esarca il metropolita Leonid, che contende i sacerdoti al Patriarcato Alessandrino. Non dimentichiamo, poi, che Leonid ha servito nell’esercito e nell’aviazione russa, e la Russia in Africa ha interessi più economici che pastorali.
© 2024 Romina Gobbo
pubblicato sul Giornale di Brescia – domenica 13 ottobre 2024 – pag. 9
Foto di copertina: il patriarca Kirill nel 2023 (credits Wikipedia)


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