Ci volle davvero un cuore “de fogo” (di fuoco, ndr) per mettersi al servizio della comunità capoverdiana negli anni Sessanta del secolo scorso. Perché oggi Capo Verde è meta turistica promossa dai tour operator, ma allora la situazione era ben diversa. «Nel 1965 ero segretario delle Missioni Estere dei frati cappuccini piemontesi, tra cui Capo Verde – racconta padre Ottavio Fasano -. Sbarcato in quella terra, compresi subito che lì ingiustizia e povertà erano la norma, e la morte era una realtà molto più vicina che da noi. Vedevo tagliare il cordone ombelicale ai neonati con coltelli arrugginiti, con conseguenze immaginabili. Non era possibile restare indifferente. Da lì tutto è partito».
Fulcro dei progetti, l’isola di Fogo, ma anche São Vicente, Santiago e altre tre delle isole dell’arcipelago che ne conta dieci, tutte di origine vulcanica.
Primo step, la costruzione dell’ospedale intitolato a san Francesco d’Assisi, oggi diretto dalla dottoressa Jorgina Silva. «Questo nosocomio ha cambiato totalmente il livello di assistenza sanitaria nell’isola», ha detto il dottor Evandro Monteiro, rappresentante del Ministero della Salute. Ma ci sono anche le Casas do Sol (resort che accoglie i turisti), le scuole, gli asili, la casa famiglia per ragazze madri, le falegnamerie, la cantina “Monte Barro”. «Fin da quando, nel 1947, i cappuccini arrivarono a Capo Verde per camminare con gli ultimi, l’obiettivo fu rendere la popolazione autonoma, offrire strumenti che creassero lavoro e, di conseguenza, sviluppo», riprende padre Ottavio.
Ultima opera realizzata, la casa di cure palliative, inaugurata lo scorso 18 maggio. Era stata iniziata sette anni fa, con la posa della prima pietra da parte del cardinale Arlindo Gomes Furtado, arcivescovo di Santiago di Capo Verde, che ha sottolineato «come l’accompagnamento alla morte porti conforto, speranza e pace interiore».
© 2025 Testo e foto di Romina Gobbo
pubblicato su Messaggero di Sant’Antonio – luglio/agosto 2025 – pag. 12


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