Almeno 27mila libri, volume dopo volume, fatti uscire da Timbuktu, la leggendaria città maliana, punto di incontro tra l’Africa nera e l’Africa arabizzata. Stipati in bauli di ferro e caricati su fuoristrada e barche, ma anche su “mezzi” più improvvisati, come carretti e asini, per percorrere 700 chilometri, fino alla capitale Bamako. Era il 2012 quando si svolse questa operazione segretissima, durata un anno, guidata da Abdel Kader Haïdara, direttore della biblioteca “Mamma-Haïdara”, con i bibliotecari dell’Istituto di studi intitolato ad Ahmed Baba al-Massufi, famoso erudito del XVI secolo, e con l’ausilio di molti volontari. Un’operazione che ha permesso di salvare dalla furia dei gruppi terroristici affiliati ad al-Qā’da, manoscritti preziosi, per lo più datati XIII secolo, e dal 1988 dichiarati Patrimonio dell’Umanità Unesco.
Oggi quei manoscritti restaurati, tradotti in inglese, francese, spagnolo e arabo moderno, e digitalizzati, stanno tornando a casa, in una Timbuktu dal 2013 di nuovo sotto il controllo governativo. Questi testi, scritti per lo più con la grafia araba, oltre che di teologia e di giurisprudenza islamica, trattano di botanica, astronomia, medicina, grammatica, matematica, storia, letteratura, algebra, fisica, ma anche di poesia e di musica, a testimonianza del ricco patrimonio culturale dello stato più grande dell’Africa occidentale. Un patrimonio salvato per la seconda volta. I bibliotecari temerari di Timbuktu, come sono chiamati nel libro del giornalista americano Joshua Hammer, altro non sono che i discendenti di quei maliani che, a fine Ottocento, quando la Francia occupò il Mali, raccolsero i libri, molti conservati in biblioteche private, li infilarono in sacchi di cuoio e li seppellirono nel deserto. Su quei libri calò il sipario fino all’indipendenza, nel 1960. Custoditi dalla coltre di sabbia, sono arrivati fino a noi.
© 2025 Romina Gobbo
pubblicato sul Messaggero di Sant’Antonio – Periferie – ottobre 2025 – pag. 12


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