Psicologo di quartiere, la cura a portata di casa

Nato in Veneto nei mesi difficili del Covid, il progetto Treviso è con te offre ascolto gratuito e vicinanza a chi non avrebbe mai chiesto aiuto. Promosso dal Comune e riconosciuto nel Rapporto 2025 del Cisf, è diventato un esempio di rete solidale capace di ridare voce e fiducia alle famiglie fragili

«Mamma vive da sola ed è allettata, necessita di supporto e vicinanza». «Fui contattata dalla figlia e dalla sorella di questa signora», racconta la dottoressa Veronica Gallo, psicologa del consultorio Centro della famiglia di Treviso, «e si creò subito un circolo virtuoso tra noi: loro due chiamavano per avviare la conversazione con la paziente, io cominciavo a parlarle e poi tutte e tre restavamo in ascolto. Era ancora il periodo del Covid: le esigenze della popolazione si facevano sentire e l’online era l’unico modo per mettersi in contatto con le persone».

UN PROGETTO MODELLO

Da situazioni come questa è nato Treviso è con te. Lo psicologo nei quartieri, il progetto promosso dal Comune in collaborazione con l’Ordine degli psicologi del Veneto, l’azienda socio-sanitaria locale e la Regione Veneto. Un’iniziativa di successo, tanto da essere citata anche nel Rapporto 2025 del Cisf (Centro internazionale studi famiglia), intitolato “Il fragile domani. La famiglia alla prova della contemporaneità”. «Come consultorio siamo stati subito coinvolti – afferma l’ex direttore don Francesco Pesce -. Il Centro è un istituto diocesano, civilmente riconosciuto, fondato cinquant’anni fa da don Mario Cusinato, psicologo e primo docente in Italia di Psicologia della famiglia. È stato un uomo geniale: si è adoperato per insegnare alle famiglie a prendersi cura delle relazioni con un approccio diverso, che partiva dalle urgenze, quelle che cambiano a seconda delle epoche e dei contesti. La nostra parola d’ordine, quindi, è sempre “ascolto”: lo stesso metodo che abbiamo usato anche nel progetto dello psicologo di quartiere». Un metodo che, nel pieno dell’emergenza sanitaria, si è tradotto in un’azione completa. «Promuovere l’accesso gratuito a consulenze psicologiche per i cittadini residenti aveva l’obiettivo di avvicinarli ai servizi presenti», spiega ancora la dottoressa Gallo. «L’analisi delle esigenze emerse nella cosiddetta “fase 2” dell’emergenza Covid-19, insieme ai dati degli accessi ai servizi durante il periodo più critico, mostrava chiaramente un crescente bisogno di supporto. Nello stesso periodo, il servizio inOltre della Regione Veneto registrava nella sola provincia di Treviso 276 colloqui, di cui 209 legati alla gestione dello stress e della preoccupazione per la pandemia. Anche Telefono Amico Italia segnalava il raddoppio delle richieste di aiuto nei tre mesi dell’emergenza, con oltre 25mila telefonate al numero unico nazionale».

QUANDO IL BISOGNO CRESCE

Per rispondere a questa domanda crescente è stato istituito un numero verde unico, al quale le persone hanno potuto rivolgersi per chiedere aiuto. Le chiamate sono state registrate e inoltrate alla dottoressa Gallo, coordinatrice del progetto, che le ha smistate sul territorio. Sono stati così attivati cinque punti di ascolto distribuiti in tutta la città di Treviso. «Abbiamo incontrato tantissimi casi di depressione, anche persone a grave rischio suicidario, con disturbi d’ansia legati all’incertezza del lavoro. Sono emerse numerose situazioni di violenza domestica fino ad allora sconosciute, con un aumento del 25% nel periodo Covid e post Covid – spiega la psicologa -. C’era chi chiedeva aiuto per un anziano rimasto solo, abbandonato dai familiari; molti ragazzi in isolamento sociale, i cosiddetti hikikomori; persone che avevano perso un familiare e non avevano potuto salutarlo in ospedale; famiglie in conflitto, malati oncologici o affetti da disturbi alimentari alla ricerca di sostegno. Il servizio di prossimità ci ha permesso di entrare in contatto con un mondo di bisogni complesso e variegato».

UN MONDO DI FRAGILITÀ

Il 76% di chi ha chiesto aiuto erano donne, con una distribuzione piuttosto omogenea per età, ma una prevalenza nella fascia tra i 30 e i 50 anni. «Non i troppo ricchi, che probabilmente si rivolgono a uno psicologo privato, né i troppo poveri, che hanno altre urgenze da affrontare – osserva Gallo -. A chiedere sostegno sono stati soprattutto gli appartenenti a quello che, per semplicità, possiamo chiamare “ceto medio”. Ho imparato tantissimo da questo progetto: noi psicoterapeuti tendiamo a lavorare da soli con la persona, ma è molto più efficace operare in un contesto multidisciplinare. La rete, che continua a offrire supporto anche nei momenti di transizione, garantisce che la persona non resti mai senza un punto di riferimento».

IL VALORE DELLA RETE

«Con la modalità dei punti di ascolto territoriali siamo riusciti a dare voce anche a persone che probabilmente non si sarebbero mai rivolte a uno psicologo – interviene don Francesco Pesce, oggi docente di Teologia all’Istituto Giovanni Paolo II. «Molte problematiche sono esplose, altre sono rimaste sommerse. Ma la caratteristica comune, anche tra coppie conviventi da anni, e che la pandemia ha acuito, è la fragilità relazionale. Il Covid ha messo in luce quanto la solitudine e l’isolamento possano diventare un dramma». E conclude: «Per questo dobbiamo tornare alla comunità: puntare sulle piccole reti di solidarietà e su attività intergenerazionali, che risultano più stimolanti per tutti. Una frase che cito spesso e che mi è stata “regalata”, è: “Quando stiamo insieme con altre famiglie, ci sentiamo più famiglia”. Sicuramente, in questo spazio condiviso si può anche riscoprire la fede».

© 2025 Romina Gobbo 

pubblicato su Credere – domenica 16 novembre 2025 – n.46/2025 – pagg. 37, 38, 39, 40, 41

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