Sudan, la guerra dimenticata che interroga l’Occidente

Negli ultimi giorni, il Sudan è balzato all’onore delle cronache. Molti si chiedono perché non se ne parlava prima. E la risposta ricorrente – ma anche la più banale – è che i conflitti in Ucraina e Gaza hanno oscurato quello del terzo Paese più esteso del continente africano. Ma la verità è che per la comunità occidentale esistono vittime di serie A e vittime di serie B. E, non c’è dubbio, che gli africani siano considerati vittime di serie B. Il Sudan? Molti non saprebbero trovarlo nella carta geografica. Pertanto, i 40mila morti, i tredici milioni di sfollati, i quasi 30 milioni di persone che mancano del necessario (dati Oms e Pam), sono soltanto numeri. Per le Nazioni Unite si tratta della più grande crisi umanitaria al mondo. Punto.
L’Unione Europea? Sanzioni ridicole.

Il Sudan è di nuovo nel caos totale dall’aprile 2023, quando i generali Abdel Fattah al Burhan (62 anni), capo dell’esercito regolare (Saf – Forze Armate Sudanesi), e di fatto presidente del Paese, e Mohamed Hamdan Dogalo, «in arte» Hamedti (48 anni), praticamente il suo vice, e leader del potente gruppo paramilitare Forze di Supporto Rapido (Rsf), hanno smesso di andare d’accordo. Erano stati insieme fautori del colpo di stato del
2021, che mise fine al governo civile-militare formatosi dopo la destituzione del presidente Omar al-Bashir, al potere da quasi trent’anni, arrestato a seguito del mandato della Corte Penale Internazionale per genocidio e crimini contro l’umanità nel Darfur, ma mai estradato all’Aja. Nell’ambito di quel genocidio, portato all’attenzione del mondo da George Clooney, i due attuali belligeranti si sono fatti le ossa. Hamedti, all’epoca fedelissimo di Bashir, scelse di voltargli le spalle, in cambio della vice presidenza nel futuro governo militare. Ma, una volta instaurato, i due generali hanno evidentemente deciso che la condivisione del potere non era più sufficiente ad appagare il proprio ego. I centomila paramilitari non hanno alcuna intenzione di essere integrati nell’esercito regolare. Altre richieste di Hamedti – come quella relativa al controllo delle rotte illegali dei migranti verso la Libia – non sono state accolte. E non c’è nessuna intenzione di restituire il governo ai civili e indire libere elezioni.

Così la guerra continua a martoriare un Paese che è – al tempo stesso – uno dei più ricchi di risorse petrolifere e aurifere dell’Africa, ma dove la maggior parte dei 45 milioni di abitanti vive in condizioni di estrema povertà. L’esercito controlla il territorio settentrionale, orientale e centrale, lungo il Nilo e il Mar Rosso, mentre le Rsf l’intera regione occidentale del Darfur. Questa è una guerra per procura, una delle tante. E, se gli Stati Uniti hanno diminuito la loro influenza nel Corno d’Africa, Arabia ed Egitto appoggiano le Saf, mentre i Paesi del Golfo appoggiano le Rsf. Ed è proprio da Stati Uniti, Emirati Arabi Uniti, Arabia Saudita ed Egitto (il cosiddetto Quad) che, lo scorso settembre, è arrivata la proposta di una tregua umanitaria di tre mesi, seguita da un cessate il fuoco permanente e dalla transizione verso un governo civile. Il 26 ottobre, dopo diciotto mesi di assedio da parte delle Rsf, che ha provocato una carestia senza precedenti, la città di El-Fasher, ultima roccaforte nel Darfur dell’esercito regolare, è caduta. Accusati di aver ucciso oltre 2.000 civili disarmati, con esecuzioni sommarie, i paramilitari hanno ammesso solo alcune violenze da parte di singoli, che sarebbero stati arrestati. Ma immagini satellitari mostrano la presenza di fosse comuni. D’altra parte, aspettarsi una buona condotta da parte degli eredi della Janjaweed (i «demoni a cavallo»), una milizia araba eterogenea, che deve la propria fama al fatto di aver perpetrato pulizia etnica nel conflitto del Darfur del 2003, nei confronti della popolazione non araba, risulterebbe quantomeno ingenuo. Dopo la conquista, i ribelli hanno annunciato di aver accettato il cessate il fuoco. Nessuna risposta, al momento, dall’esercito regolare. Ma, secondo un’autorevole testata come il Guardian, «la svolta potrebbe essere un tentativo, da parte dei paramilitari, di distogliere l’attenzione dalle accuse nei loro confronti», e nei confronti degli Emirati Arabi Uniti, ritenuti da vari osservatori internazionali i loro principali sponsor dopo l’aiuto ottenuto nella guerra contro gli houthi nello Yemen. Abu Dhabi, naturalmente, nega.

© 2025 Romina Gobbo 

pubblicato sul Giornale di Brescia – martedì 18 novembre 2025 – pag. 7

https://www.giornaledibrescia.it/opinioni/sudan-guerra-dimenticata-interroga-occidente-ydhpfmth

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