Chiese incendiate, massacri civili, stupri, sfollamenti di massa, espropriazioni di terre, persecuzioni mirate, e rapimenti a scopo di estorsione, che continuano nonostante lo Stato abbia reso illegale i riscatti. La violenza si è impadronita della Nigeria. Il Paese che, con i suoi oltre 237 milioni di abitanti appartenenti a circa 200 gruppi etnici, è il più popoloso d’Africa, dall’inizio di quest’anno ha già registrato 1.923 attacchi contro civili, con più di tremila morti. Ma è una violenza che si perpetra almeno da una ventina d’anni, cioè da quando nei territori poverissimi del nord è comparsa Boko Haram, organizzazione terroristica jihadista, affiliata allo Stato Islamico, responsabile di 40mila morti e più di due milioni di sfollati. Da qualche anno agisce anche un suo ramo secessionista, lo Stato Islamico nella Provincia dell’Africa Occidentale (Iswap). Ma i miliziani jihadisti non sono i soli a terrorizzare le comunità. Semi-nomadi, pastori e mandriani, i Fulani vivono prevalentemente nella Middle Belt, la cintura di Stati che si
frappone tra il Nord a maggioranza musulmana e il Sud a maggioranza cristiana. Per lo più di confessione musulmana, alcuni si sono radicalizzati,
andando ad arricchire le fila dei gruppi terroristi. Secondo il World Watch 2025 di Open Doors, la Nigeria è il Paese con il più alto numero di cristiani uccisi e rapiti, l’82% dei 4.476 uccisi nel mondo.
«È una guerra di religione?» si chiede Wilfred Anagbe, vescovo di Makurdi, stato di Benue, cuore cristiano della Middle Belt. Pur affermando che è in atto un tentativo di islamizzazione, il monsignore riconosce che gli attacchi colpiscono tanto i cristiani che i musulmani. «I pastori fulani – ha detto – sono motivati meno dalla religione che dal bottino di guerra. Nella mia diocesi si sono impadroniti delle terre dei nostri contadini. Rimangono impuniti. Nessuno di loro è stato arrestato e processato. Questo è favorito dal sistema corrotto e dalla povertà assoluta che permette ai criminali di reclutare continuamente nuove risorse». Di fronte alle esternazioni del presidente Donald Trump che, dopo aver inserito la Nigeria nella lista dei «Countries of Particular Concern», ha paventato «l’opzione militare per frenare il genocidio» di cristiani, l’Interfaith Dialogue Forum for Peace (Idfc), sodalizio di cristiani e musulmani, ha esortato i nigeriani a mantenere la calma, per evitare ulteriori divisioni. Anche il governo rifiuta una lettura che riduce la complessità di un Paese, repubblica federale di 36 Stati, alle dinamiche religiose. Il bollettino di guerra è da ricondurre a un insieme di jihadismo, interessi economici (l’attività petrolifera, totalmente in mano a società straniere, costituisce più dell’80% delle
esportazioni e finanzia circa il 70% del bilancio statale) e banditismo. La buona notizia è la liberazione di tutti i 38 fedeli cristiani rapiti, il 18 novembre, nell’attacco a una filiale della Chiesa apostolica di Cristo, a Eruku nello stato centrale di Kwara. Rimangono, invece, ancora nelle mani dei rapitori le studentesse musulmane prelevate una decina di giorni fa da una scuola secondaria, nello Stato federale di Kebbi. Ancora in corso anche il maxi rapimento di studenti (oltre 300) e insegnanti della scuola cattolica St. Mary’s, a Papiri, Agwara, Stato nigeriano del Niger. Le autorità hanno elevato l’allarme, tanto che il presidente Bola Tinubu ha annullato la trasferta in Sudafrica per il vertice dei G20. Alle scuole è stato
intimato di chiudere, mentre la Polizia continua a setacciare le foreste. Tuttavia, per padre Fortunato Romeo, delegato superiore della Nigeria della
congregazione dei Somaschi, che vive a Enogu, nel sud-est: «Nonostante nel governo ci siano anche cattolici, lo Stato non fa abbastanza per proteggerci. Noi gestiamo un seminario; qui le vocazioni prosperano e per noi è garanzia che il nostro carisma continui a vivere. Ma quest’escalation di violenza ci dà da pensare».
© 2025 Romina Gobbo
pubblicato sul Giornale di Brescia – Commenti e Opinioni – domenica 7 dicembre 2025 – pag. 8


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