Oltre mezzo milione di bambini sono attualmente reclutati nelle forze armate governative e in gruppi armati in più di 87 paesi del mondo. Di questi, almeno 300mila combattono attivamente. La denuncia, della Coalizione internazionale “Stop all’uso dei bambini soldato”, è stata lanciata recentemente a Londra, in occasione della presentazione del “Global Report on Child Soldiers 2001”.
La situazione
È migliorata in America Latina, nei Balcani e nel Medio Oriente, mentre nuove generazioni di minorenni sono a rischio in Africa e in parte dell’Asia e del Pacifico. Ma anche il regno Unito e gli Usa impiegano minori di 18 anni in combattimento. «I paesi industrializzati, a causa della mancanza di personale, hanno incrementato gli sforzi per attrarre i giovani al reclutamento – afferma Rory Mungoven, coordinatore internazionale della Coalizione “Stop using Child Soldiers” -. D’altra parte, la disponibilità di armi leggere fa sì che anche i più piccoli possano diventare killer efficienti».
Richieste ai governi
Attualmente più di 300mila bambini stanno combattendo negli eserciti governativi o con gruppi armati, in più di 40 paesi nel mondo. In 87 paesi i bambini vengono reclutati nelle forze armate governative, nei gruppi paramilitari, nelle milizie civili e nei gruppi armati non governativi. Settantatrè paesi sostengono il principio che nessun minore può essere arruolato. La situazione rimane poco chiara in 25 paesi. Fino ad oggi, 80 paesi, tra cui l’Italia, hanno firmato il trattato che vieta l’uso dei bambini nei conflitti armati, ma solo Canada, Sry Lanka, Andorra e Repubblica Democratica del Congo l’hanno ratificato. La Coalizione “Stop all’uso dei bambini soldato” ha chiesto al Governo italiano l’immediata ratifica del Protocollo opzionale della Convenzione sui diritti dell’infanzia, ma per il momento l’Italia si è limitata ad adottare una nuova legislazione che eleva l’età minima per il reclutamento a 18 anni. Anche gruppi armati non governativi si sono impegnati a non reclutare minorenni.
Le condizioni dei bambini soldato
Considerati come un prodotto economico, i bambini soldato tendono a ricevere scarso o nessun addestramento prima di essere spinti al fronte. I minori vengono coinvolti nei conflitti sin dall’età di sette anni. All’inizio operano come staffette per i messaggi, o come spie. Ma già intorno ai dieci anni vengono forzatamente istruiti a maneggiare le armi. Quelli che si oppongono vanno incontro a punizioni severe, fino alla tortura e alla morte. In molti paesi anche le ragazze sono utilizzate come soldati, anche se in numero minore rispetto ai loro coetanei maschi. Nello Sry Lanka, ad esempio, vige la pratica di addestrare adolescenti, meglio se orfane, per azioni dinamitarde suicide. Le ragazze sono particolarmente a rischio di stupro, schiavitù sessuale e abusi. Anche nelle forze armate dei paesi industrializzati, le giovani reclute sono soggette ad aggressioni, molestie e violenze. Accanto a questi rischi e a quelli strettamente connessi alla guerra, i bambini soldato soffrono enormemente per i rigori della vita militare. Bambini piccoli svengono sotto carichi troppo pesanti; per non parlare di malnutrizione, infezioni respiratorie, della pelle, malattie sessualmente trasmesse, incluso l’Aids, abuso di alcol e droghe e indisposizioni varie.
Panoramica regionale
Più di 120mila bambini, alcuni non più grandi di sette o otto anni, combattono abitualmente in conflitti armati in tutta l’Africa. La situazione è particolarmente critica in Sierra Leone e in Uganda (circa 10mila, in entrambi i paesi, i bambini reclutati). In Iraq, migliaia di ragazzini tra i 10 e i 15 anni fanno parte degli “Ashbal Saddam” (Piccoli leoni di Saddam) e vengono addestrati all’uso di armi leggere, al combattimento corpo a corpo e alle tattiche di fanteria. In America, gli Stati maggiormente interessati al reclutamento dei bambini sono la Colombia e il Perù. Ma anche gli Stati Uniti hanno riconosciuto che soldati diciassettenni hanno partecipato a operazioni militari durante la guerra del Golfo, in Somalia e in Bosnia.
Triste record asiatico
In Asia il problema è drammatico in Afghanistan, Myanmar (tra i paesi con il più alto numero di bambini soldato nel mondo) e Sry Lanka. I minori hannoa gito come spie, consegnato messaggi, trasportato armi e munizioni e, inevitabilmente, hanno ucciso e sono stati uccisi in Cecenia, Nagorno-Karabakh e Turchia sud-orientale. Cis ono rapporti sconvolgenti che denunciano la presenza di giovani orfani o bambini di strada, anche di nove anni, presso unità e campi militari in Russia. E neppure la “civile” Europa è immune dal fenomeno: bambini soldato in Bosnia-Erzegovina e Kosovo. Il Regno Unito è l’unico paese europeo che abitualmente manda in combattimento ragazzi di 17 anni. Infine, la metà di tutti gli stati membri dell’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (Osce) accetta minori nelle proprie forze armate.
© 2001 – Romina Gobbo
pubblicato su Toscana oggi – Primo Piano – 8 luglio 2001 – anno XIX – pag. 2
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CAUSE
- natura della guerra. Anche nella storia passata i ragazzi sono stati usati come soldati, ma negli ultimi anni questo fenomeno è in netto aumento perché le guerre sono diventate oggi prevalentemente etniche, religiose e nazionaliste
- uso di armi automatiche leggere. Oggi un bambino può usare certe armi come un adulto. Inoltre non chiede paghe e si fa indottrinare e controllare più facilmente di un adulto. Affronta anche il pericolo con maggiore incoscienza
- lunghezza dei conflitti. La durata delle guerre rende sempre più urgente trovare nuove reclute per rimpiazzare le perdite
CONSEGUENZE
- ripercussioni fisiche. Per i ragazzi che sopravvivono alla guerra e non hanno riportato ferite o mutilazioni, le conseguenze sul piano fisico sono comunque gravi: stati di denutrizione, malattie della pelle, patologie dell’apparato respiratorio e dell’apparato genitale, incluso l’Aids
- ripercussioni psicologiche. Per essere stati testimoni o aver commesso atrocità, i ragazzi sono colti da un senso di panico e incubi
- ripercussioni sociali. Difficoltà a reinserirsi nella famiglia e a riprendere gli studi, ma anche a formarsi una famiglia propria
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