Quando la violenza è senza fine

Di nuovo l’8 marzo. Ogni anno mi riprometto di non scrivere di donne, per non andare a ingrossare le fila di chi relega le discussioni sul “mondo in rosa” sono in questo periodo. Come se si parlasse di una specie protetta. Ma come si fa a stare zitti quando da mesi la cronaca non fa che riportare efferati episodi di violenza sessuale ai danni di donne e ragazzine? Come si fa a non urlare? Come si fa a tacere la propria rabbia? Siamo alle solite: fiumi di inchiostro, retorica a go-go, indignazione dilagante, politici che se la giocano a suon di provvedimenti… Così, per qualche settimana, finché l’emozione collettiva è forte. Ma, passato il momento… tutto come prima. Aumento del numero delle telecamere nei luoghi più bui delle città, e ora anche il decreto sulle ronde… Non sappiamo quanto possano essere utili. Così come non servono a nulla porte blindate e inferriate quando la violenza si perpetra tra le mura domestiche. Il fenomeno non si può risolvere con i palliativi. È la cultura dell’uomo cacciatore e della donna preda, che va combattuta. E, poi, bisognerebbe cominciare a chiamare le cose con il loro nome. Ma vogliamo avere il coraggio di dire che lo stupro corrisponde a un assassinio? Che da quel momento comincia una devastazione fisica e psicologica, che potrebbe non avere fine? Che la donna si porterà appresso per sempre un’angoscia di morte? Che non si fiderà più di un uomo? Un calvario fatto di sedute dallo psicoterapeuta per ricostruire l’accaduto e di test per scoprire se si è contratta qualche malattia. E che se quella malattia si chiama Aids, è un punto di non ritorno.

© 2009 Romina Gobbo 
pubblicato su Corriere Vicentino – anno X – n. 3 – Marzo 2009

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