
Il vescovo Cesare Nosiglia
Un giornale rinnovato nei contenuti e nella veste grafica. Questo vuol essere, da domenica 12 aprile 2009, La Voce dei Berici. Una sorpresa pasquale per gli abbonati, e per gli affezionati lettori, che ogni domenica acquistano in chiesa il settimanale diocesano. Una storia lunga 65 anni, e che oggi è a una svolta epocale, perché da maggio La Voce arriverà anche in edicola. Ma stiano ben tranquilli i “fedelissimi” di sempre, perché il settimanale diocesano di Vicenza innova sì, ma non dimentica il bagaglio di esperienza accumulato nel suo lungo percorso, iniziato nel 1945. «Saluto con gioia il rinnovo della Voce – ha detto il vescovo di Vicenza, monsignor Cesare Nosiglia, alla conferenza stampa di presentazione – che mi auguro possa essere il primo passo verso nuove, interessanti e significative prospettive. Voce significa che il settimanale è chiamato a dare voce, anzitutto, alla Chiesa locale, di cui è espressione autorevole, attraverso l’interpretazione giusta e veritiera dei fatti.. Vediamo quotidianamente quanto la voce della Chiesa sia spesso disattesa, o stravolta, o comunicata solo parzialmente dai mass media. La Voce deve offrire ai lettori gli strumenti di riflessione e di giudizio valutativo sui fatti e le situazioni del nostro tempo, che interessano e coinvolgono l’azione sociale e “politica” dei cristiani. Deve “dare voce” all’intero popolo di Dio, nel senso di aprire le sue pagine al dialogo e al confronto fra tutti, senza chiusure precostituite, incoraggiando spazi di dibattito sui principali argomenti, sia della vita della Chiesa, che del mondo. E non deve dimenticare la voce dei poveri e degli ultimi, perché sono loro il “metro di giudizio” che deve sempre guidare la Chiesa nell’azione pastorale e storica. Infine, venga dalle pagine della Voce l’invito alla speranza, perché mai deve venir meno una visione positiva della storia, anche nei momenti difficili, come quello attuale».

Don Bernardo Pornaro, direttore La Voce dei Berici
«L’obiettivo che intendiamo perseguire – ha affermato il direttore don Bernardo Pornaro – è farci leggere, trovare le modalità migliori perché una persona che mette gli occhi su una pagina, sia invogliata a starci, e poi a continuare con le altre. Era nostro dovere adeguare il mezzo espressivo alle accresciute sensibilità di oggi. Cambiare non è mai facile, perché significa porsi su una strada nuova, di revisione, di maggior controllo di sé, ma significa anche avere più attenzione e grande rispetto nei confronti di chi legge. Il risultato è un giornale più vicino alla gente, perché più agile nei contenuti e più chiaro nell’impostazione». «Perché la gente dovrebbe avere voglia di leggere La Voce dei Berici? Siamo partiti da qui, e la riflessione non si è più fermata. Ecco, allora, il nostro duplice intendo: rendere il settimanale più interessante e, nello stesso tempo, più leggibile – ha spiegato la caposervizio Romina Gobbo -. Per quanto attiene agli articoli, la scelta è verso testi più brevi, ma ugualmente significativi. L’essenzialità nulla deve togliere al contenuto. Il criterio che ha orientato la grafica è stato la pulizia. Innanzitutto, balza all’occhio il restyling della testata. Ma, più in generale, i titoli sono stati alleggeriti, sono state cambiate le font per un miglior servizio alla chiarezza, è stata aumentata l’interlinea, per dare maggior respiro alla lettura, sono state adottate le cinque colonne al posto delle sei».
LA STORIA E LE CIFRE DEL SETTIMANALE DIOCESANO DI VICENZA
La Voce dei Berici inizia le pubblicazioni nell’agosto 1945, per volere del vescovo monsignor Carlo Zinato; si chiama La Verità, ma il nome richiama la Pravda (che significa appunto “verità”), l’organo di stampa del Partito Comunista dell’Unione Sovietica, perciò dal primo numero del 1947 la testata diventa quella attuale, La Voce dei Berici. La direzione è affidata a monsignor Bruno Barbieri, coadiuvato da don Francesco Regretti. Il giornale, a metà strada fra il tabloid e il quotidiano tradizionale, esce in quattro pagine fitte di testo e con pochissime foto. Viene stampato dalla tipografia vescovile.
Salto di qualità. Nel 1951 c’è il primo grande salto di qualità, con il passaggio alla tipografia San Gaetano. A dirigerlo è monsignor Giovanni Sartori, futuro vescovo di Rovigo e Trento. In redazione arriva Giuseppe Brugnoli – che diverrà poi direttore del Giornale di Vicenza – come in seguito Giulio Antonacci, che alla Voce ha fatto la gavetta. La veste diventa più giornalistica. Le pagine diventano otto. Le macchine per scrivere diventano elettriche, ma il giornale continua a essere composto alla linotype con il piombo fuso, mentre i titoli sono fatti assemblando una per una le lettere, sempre di piombo. Nel 1972 arriva come redattore Alberto Schiavo, che comincia a dilettarsi con l’impaginazione. Un’altra significativa tappa si ha nel 1978, con il passaggio alla tipografia Antoniana di Padova: è il definitivo addio al piombo. E, negli anni Ottanta, sotto la direzione di don Lucio Mozzo, i redattori diventano due e la redazione si apre alle donne. Prima Alessandra Agosti, poi Antonia Arveda, Mariapia Veladiano e, più recentemente, Giovanna Benatti e Romina Gobbo. Dallo scorso anno, con l’arrivo di Marta Randon, le redattrici sono addirittura due.
I primi computer. Enormi “armadi” per qualche “mega” di memoria che, attraverso un complicato sistema di nastro perforati, dischi magnetici, laser e ottiche varie, impressionano i caratteri su strisce di carta sensibile; è nata la “fotocomposizione”. Il giornale cresce anche come numero di collaboratori e, grazie alla nuova rotativa, aumenta a sedici le pagine; sono le prove ufficiali per una nuova rivoluzione, avvenuta nel 1980, con il definitivo passaggio al formato tabloid e a trentadue pagine. Attualmente si stampano 10mila copie settimanali.
© 2009 pubblicato su Noi Giornalisti, trimestrale Ordine dei Giornalisti del Veneto – Aprile/Maggio/Giugno 2009