«È molto cambiata in Italia la percezione dell’immigrazione. Dieci anni fa, quando arrivarono i primi immigrati, l’Italia era schierata dalla parte della solidarietà. Oggi non è più così, anzi», dice Laura Boldrini, portavoce dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati. «L’Italia non è un Paese multietnico», sostiene il premier Silvio Berlusconi. Il Vaticano risponde: «Siamo già un Paese multietnico». Lo siamo o no? Se parliamo di mix di etnie, lo siamo; se parliamo di integrazione, evidentemente no. Peccato che non siamo un Paese multietnico. Significa che non siamo un grande Paese, perché tutti i grandi Paesi sono multietnici: la Francia, l’Inghilterra, l’America. Molti italiani ripetono: «Ognuno a casa propria». Ma se i lavoratori stranieri se ne stessero veramente a casa propria, almeno il 40% delle nostre industrie si troverebbe in difficoltà. Il fenomeno immigratorio – ci piaccia o no – non è reversibile, neppure in tempo di elezioni. La gente da sempre si è spostata; così è stato popolato l’intero mondo. Proporre che i medici denuncino i pazienti non regolari, o che ci siano mezzi pubblici riservati ai milanesi – ammesso che si riesca a capire chi è milanese e chi ha radici salernitane -, o che i figli degli irregolari non possano essere iscritti a scuola, alimenta un clima di intolleranza. L’italiano vive una certa schizofrenia: mentre soccorre l’Abruzzo terremotato, butta a mare dei poveri diavoli. Ma essere solidali significa essere multietnici. Altrimenti dalle discriminazioni tra nazioni, si passerà a quelle tra paesi – i sossanesi potranno frequentare i bar di Arzignano? – e poi finanche ai quartieri, e a Vicenza serviranno autobus separati per i residenti di San Lazzaro (i periferici) e quelli di Piazza dei Signori (signori, lo dice anche il nome).
© 2009 Romina Gobbo
pubblicato su Corriere Vicentino – anno X – n. 6 – giugno 2009