Storia di una “vocazione al Bello”

«Ho avuto tre grandi amori nella mia vita: la Garbo, la Duse e la Callas». Risponde, così, Remo Schiavo a chi gli chiede perché non si è mai sposato. Come a dire, che la vita privata tale deve restare. Ne aggiungerei un quarto, i gatti, veri padroni della casa di via Conti Gualdo a Montecchio Maggiore, dove lo sto intervistando. Incalzato dall’ex allieva (è stato mio professore di Storia dell’Arte al Liceo classico), un po’ alla volta si apre e racconta il suo rapporto con mamma Maria e papà Pietro, l’infanzia, gli anni dell’insegnamento, l’innamoramento per l’arte, il colpo di fulmine per l’opera, la passione per il balletto, e anche – bontà sua – qualche particolare inedito. La sua è, prima di tutto, la storia di una “vocazione al Bello”. Il 17 settembre (2010), giorno del suo 82° compleanno – «festeggerò con pochi amici qui in giardino» -, uscirà il suo nuovo libro, il numero 51 (ma la sua produzione vede altri 75 libri scritti in collaborazione con altri autori, nonché le corrispondenze per una decina di riviste), dal titolo “Per Montecchio Maggiore”.Remo Schiavo – oltre a tutto il resto, su cui poi mi soffermerò – è anche uno degli apprezzati collaboratori della Voce dei Berici. E questo libro in uscita (350 pagine, 50 foto, tra cui molte della casa e degli affreschi della villa Cordellina, due poesie; è pubblicato dalla Edigraf di Montecchio Maggiore e sarà in vendita a fine anno), realizzato insieme all’amico e collaboratore Nevio Zanni, contiene anche un bell’omaggio al nostro settimanale. Infatti, mentre la prima aprte è dedicata alle opere d’arte della sua città, ora scomparse; la seconda parte è una raccolta degli articoli (recensioni di spettacoli classici e di danza) pubblicati sulla Voce dei Berici: praticamente la storia della danza vicentina degli ultimi anni.

Mi ha raccomandato di ringraziare in particolare Roberta e Anna, che nella nostra redazione battono al computer i suoi testi. Perché lui non adopera il Pc e neanche la macchina da scrivere, usa la biro, ma confessa che tornerebbe volentieri alla penna d’oca. «Uso la penna perché, nel momento stesso in cui scrivo, mi viene già fuori la parola successiva; se invece batto a macchina, sono troppo lento, e la parola successiva mi sfugge. È proprio una questione mentale.

Il prof. Schiavo alle altre persone, mi presenta così: «Prima c’ero io da quella parte della scrivania, ora c’è lei». Perché sono una delle migliaia di studenti che con lui hanno imparato l’arte. Lezioni splendide, che partivano dalla vita dei protagonisti perché, attraverso di essa, meglio si può comprendere l’afflato artistico. Ma veniamo alla sua, di vita, tutta trascorsa a Montecchio Maggiore, in provincia di Vicenza. «A Montecchio ci sono due parrocchie. Io faccio parte di quella di san Pietro, detta “del costo” perché sorge vicino alla costa del castello. Sono nato qui, sono sempre vissuto qui e ho ricevuto tutti i sacramenti in questa chiesa qui, tranne il matrimonio. Sono scapolo». Già. E le uniche donne sono state…. Papà Pietro era un contadino; mamma Maria aiutava il marito nei campi e si dedicava alla casa. «Si erano sposati il 28 ottobre 1922, giorno della marcia su Roma. Mio padre, che era fascista, aveva rinunciato alla marcia per sposarsi. Avevamo 30 campi ed eravamo considerati piccoli proprietari. Mia madre era molto cattolica, e non aveva dubbi: “chi commette peccato, va all’inferno”. A mio papà la religione interessava meno». Remo ha una vera adorazione per la madre, di cui nel suo libro preferito, “Visti da un allievo”, scrive: “A suo modo mi amava, ma non lo dimostrò mai con un abbraccio”.

L’amico Nevio è vicino al professore dagli anni Ottanta. Oltre ad aver collaborato alla stesura dei vari volumi, si occupa di archiviare le foto, e recentemente ha cominciato a inventariare la cospicua produzione. «E pensare che fino a quarant’anni non ho mai scritto niente, tranne la tesi di laurea; contiene una visione esistenzialista del pensiero di Biagio Pascal. sarebbe potuto essere il mio esordio come scrittore, perché l’università voleva pubblicarla, ma a me all’epoca – erano gli anni ’53-’54 – non interessava. Un amico mi ha detto: “Eri talmente gonfio di cultura che non riuscivi a esprimerla”. E aveva ragione».

Forse non tutti sanno che il prof. Schiavo si è diplomato al liceo scientifico “Lioy” di Vicenza. E che c’azzecca con un “malato di filosofia”, come ama definirsi? Praticamente, niente. «Avendo la maturità scientifica, non potevo iscrivermi a Filosofia, così ho deciso di prendere anche la maturità classica, da privatista. In 11 mesi ho messo dentro questa testa 5 anni di greco. Mi sono, poi, laureato in filosofia morale a Padova». Così è cominciata la fase dell’insegnamento (a Valdagno, filosofia al “Pigafetta” di Vicenza, storia dell’arte al “Pavoni” di Lonigo), durata fino all’84 e poi qualche anno ancora a Lonigo. «Nel 1968, a quarant’anni, la mia vita viene sconvolta. Muoiono i miei genitori. Mio fratello Armando era morto prima che io nascessi. Per la prima volta, mi sono sentito veramente solo». Una solitudine che lo accompagna anche oggi. «Sono molto triste. Perché troppi amici se ne sono andati. I professori te li ritrovi e li sopporti, ma gli amici, quelli li scegli, e molti dei miei non ci sono più».

Era il ’64 quando Schiavo scrisse, per la rivista “Vicenza”, un commento al libro sulle ville vicentine del prof. Renato Cevese, storico dell’arte e raffinato studioso del Palladio. Larticolo piacque e Cevese lo chiamò a illustrare l’appena restaurata villa Cordellina (allora di proprietà di Annamaria Lombardi), alle personalità in visita. Ne uscì un libro, “Villa Cordellina Lombardi”. «Da lì è partita l’avventura di scrittore». L’amore per il balletto viene da più lontano… «Sono figlio di contadini e la civiltà contadina ha una cultura, ama il teatro e l’opera. Mio padre mi ha insegnato tutte le opere. A dieci anni ero espertissimo. A dodici, mi ha portato al teatro Verdi di Vicenza. Mi sono innamorato di una grande ballerina, che poi è diventata mia amica, Vanna Busolini, étoile alla Scala di Milano. Vedendola danzare nella Traviata, ho preso la cotta per il balletto e per l’opera (Il Rigoletto è la mia preferita). Poi la mia formazione si è perfezionata all’Area di Verona, dove ho assistito ai grandi spettacoli del Mariinsky (Kirov) Ballet, del Bolshoi, del balletto dell’Opera di Kiev. Sempre e solo i “classici”. Infatti le recensioni nella Voce di spettacoli contemporanei sono spesso delle stilettate. «Odio l’arte contemporanea, perché è uno scarabocchio. Io voglio ordine, precisione e grande preparazione. La tecnica prima di tutto, il resto non è danza, è ginnastica correttiva». Un rimpianto. «La squalifica del Teatro Olimpico. Io sono accademico olimpico, sono stato vicesegretario con la presidenza Rumor. All’epoca, Accademia Olimpica e Comune di Vicenza decidevano insieme gli spettacoli da varare a settembre. Fu il momento d’oro del “tempio sacro di ogni arte”. poi l’alleanza si è rotta ed è cominciata la discesa. Poiché l’Accademia può vantare dei diritti sul teatro, qualche anno dopo, io e Piergiorgio Piccoli, abbiamo proposto tre spettacoli: l’Antigone, del drammaturgo francese Jean Anouilh; Il lutto si addice a Elettra, del drammaturgo statunitense Eugene Gladstone O’Neil; La macchina infernale, del francese Jean Cocteau. Ovvero i miti classici rivisti da grandi scrittori del Novecento. Abbiamo avuto un grande successo, ma quella è stata la fine. La mia intenzione era di formare una compagnia stabile a Vicenza, in modo da far lavorare i nostri assieme ai più grandi protagonisti dell’epoca. Come succedeva ai tempi dell’Accademia, quando il coro della tragedia era formato dalle ragazze delle Magistrali, che cantavano e ballavano».

Zanni, chi è Remo Schiavo?

«Un uomo conosciuto per la sua cultura, ma poco per il suo mondo. La sua casa, i suoi fiori, il suo giardinO. questa è la sua vita, questo è ciò che lui ama. Così come ama gli amici. Ne desidera la compagnia. Come lo si compra? Venedo a trovarlo, ascoltandolo. Il prezzo dell’amicizia è saperlo comprendere».

Prof. Schiavo, chi è Remo Schiavo?

«Un allievo, perché ha avuto dei grandi maestri».

© 2010 Romina Gobbo

pubblicato su La Voce dei Berici – domenica 12 settembre 2010 – pag. 23

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