«In Asia il problema della libertà religiosa e quindi della persecuzione è molto acuto, inannzitutto perché tantissimi Paesi non garantiscono la libertà religiosa (almeno 36 su 54) – spiega padre Bernardo Cervellera, direttore di AsiaNews -. Questo si traduce in un controllo a vari livelli sulle attività dei cristiani, finanche all’arresto, o alla proibizione di qualsiasi culto che non sia quello islamico (che è poi quello che succede in Arabia Saudita). In India c’è il controllo sulle pubblicazioni, per esempio. In diversi Stati ci sono leggi che impediscono la conversione al cristianesimo».
L’Asia, con più della metà degli abitanti del pianeta, ha la massima concentrazione di non cristiani (l’80%). Le Chiese sono minoranze piccolissime – spesso perseguitate -, che non superano il 2%, salvo qualche eccezione. “La globalizzazione – si legge su AsiaNews – ha reso l’Asia il cardine produttivo del mondo, strappando centinaia di migliaia di persone alla povertà. Ma essa sta creando anche nuovi rivolgimenti che influenzano e inquinano l’ambiente naturale e sociale. Millenarie culture e tradizioni familiari vengono emarginate e abbandonate; non sempre i “nuovi valori”, assunti dall’Occidente – spesso valori materiali -, riescono a dare sostanza alla convivenza dei popoli asiatici. A questa presenza invadente di un Occidente materialista si deve fra l’altro la crescita e il rafforzamento dei fondamentalismi (indù e musulmani) che pensano di salvare l’Asia attraverso la violenza”.
«Se mettiamo a confronto l’Islam nei vari Paesi – continua Cervellera – ci accorgiamo che, da una parte abbiamo l’Arabia Saudita dove è proibito avere luoghi di culto diversi da quelli dell’Islam ufficiale sunnita, ma anche pregare in privato. È un Paese di cui si parla poco, perché è ricco. Non si può esporre la croce, neppure come collana, non il rosario cristiano in vista, non un’icona. Se qualcuno contravviene, viene imprigionato. Qualche volta, dopo la prigionia e la tortura, viene espulso. Le vittime sono di solito cattolici o cristiani indiani, filippini, che lì lavorano. L’Arabia accetta il lavoro degli stranieri, ma non la loro identità religiosa. Il secondo estremo di violenza alla libertà religiosa è rappresentato dalla nord Corea e dalla Cina. Nel nord Corea è proibita qualsiasi espressione religiosa che si ponga in alternativa al culto del cosiddetto padre della patria e di suo figlio (Kim Jong-II). Testimonianze dicono che basta avere una bibbia in casa per essere passibile di prigionia o di morte. Però loro ci tengono a far vedere che nel Paese c’è libertà religiosa, perciò esiste una compagnia teatrale che si comporta come una Chiesa, con recita di preghiere. In Corea del nord non ci sono sacerdoti, non è permesso. In situazione simile è la Cina. Un grandissimo Paese dal punto di vista commerciale, ma piccolissimo dal punto di vista della libertà religiosa. Può manifestarsi solo come espressione culturale, in luoghi registrati con personale registrato, e in orari registrati. È proibito creare un gruppo di preghiera in casa propria; se uno lo fa, è passibile di prigionia (negli ultimi anni, almeno 20 sacerdoti sono stati imprigionati, altri detenuti nei laogai, ovvero campi di lavoro forzato, altri ahnno subito torture, altri ancora sono stati uccisi: almeno tre vescovi negli ultimi 15 anni».
L’uccisione di sacerdoti e presuli ha un significato preciso?
«Secondo me, sì. Per esempio, in Iraq, il 31 ottobre 2010, durante un momento di culto, è stato perpetrato un attacco alla chiesa di Nostra Signora del Perpetuo Soccorso di Baghdad. Sono rimasti uccisi donne e bambini e i due preti. Questo è contrario agli insegnamenti del Corano, significa che questi terroristi nulla hanno a che vedere con l’Islam, nutrono solo un desiderio di distruzione dei cristiani, come se fossero dei pagani. Tutto questo è stato confermato dalla rivendicazione la sera stessa dell’eccidio da parte dei colpevoli, un gruppo che si rifà ad al-Qaeda, che ha detto esplicitamente che “i cristiani saranno un obiettivo legittimo”. Da allora si sono susseguiti degli assassinii mirati. L’obiettivo è eliminare lo sviluppo moderno per ritornare al VII secolo, ai tempi di Maometto. Parlo dell’Iraq perché, secondo me, è il punto più dolente. Se in Iraq non si riuscirà a garantire la presenza dei cristiani, inevitabilmente ci sarà una crescita di terrorismo, che da lì si diffonderà ovunque. L’altro grande nemico della libertà religiosa è il laicismo. Il laicismo della Cina o della nord Corea è pericoloso, perché sta diventando un modello anche per le nazioni occidentali. Sì al culto, ma al di fuori della società civile, tanto che non si devono diffondere pubblicazioni».
Qual è il vero volto dell’Islam?
«Il terrorismo fondamentalista – salafita o wahabita – è soltanto una piccola percentuale. Ma sono persone potenti, che hanno mezzi, soldi e armi. Poi c’è il mondo islamico, piuttosto refrattario a prese di posizione individuale, perché seguono molto la umma (la comunità musulmana); gli altri fanno parte di una maggioranza silenziosa, che non interviene. In seguito ai massacri, diverse personalità musulmane, irachene, libanesi, indiane, pakistane, hanno preso posizione in difesa dei cristiani in Medio Oriente e in Asia, queste regioni cadranno in mano alla barbarie. Ci sono anche Stati come Bahrein, Kuwait, Dubai, che hanno capito che per fermare il terrorismo bisogna imparare a dialogare con i cristiani, che portano una ventata modernità, ma anche salvaguardano la vita di fede. Perciò essi permettono la vita delle comunità cristiane, allo scopo di insegnare un po’ di più la convivenza».
AsiaNews è un’agenzia di stampa del Pime, nata nel 1986, specializzata sull’Asia; ha anche un’edizione online (www.asianews.it). Il sito avrà presto anche un’edizione cinese.
© 2011 Romina Gobbo
pubblicato su La Voce dei Berici – inserto “La libertà religiosa. Rapporto 2010″ – domenica 12 giugno 2011