Nuove sanzioni e massimo utilizzo delle armi diplomatiche e politiche, ma nessuna opzione militare: è questa la posizione della Ue di fronte alla crisi della Siria. «La Siria non è la Libia – ha detto un funzionario -; l’ipotesi di imporre una no-fly zone sulla Siria non è sul tavolo». Le nuove sanzioni dovrebbero essere approvate il 27 febbraio prossimo dai ministri esteri della Ue: colpiranno la banca centrale siriana (ma non tutte le transazioni, seguendo la pratica già usata per l’Iran) e il commercio di metalli preziosi e diamanti e soprattutto di fosfati (la Ue ne importa il 40%). Diverso il sentore rispetto all’atteggiamento degli Stati Uniti, che a Barbara Starr, corrispondente della Cnn al Pentagono, hanno fatto sapere di “aver preso in esame” l’ipotesi di un intervento militare, confermando l’irritazione della Casa Bianca nei confronti del veto opposto dalla Cina e dallaRussia la scorsa settimana alla risoluzione dell’Onu contro Damasco. Intanto la gente continua a morire. Dal veto, i bombardamenti dell’esercito si sono intensificati su Homs, con un picco di oltre 230 morti nella notte tra domenica e lunedì scorsi e 70 solo mercoledì 8, mentre andiamo in stampa. Quattrocento bambini – secondo una stima Unicef – sono stati uccisi negli ultimi undici mesi, durante le rivolte popolari soffocate dalla repressione sanguinosa del regime di Assad, e altrettanti minori sarebbero rinchiusi nelle carceri di Damasco. “Se dovesse cadere questo regime laico, le minoranze cirstiane potrebbero diventare un bersaglio”. Lo ha detto p. Paul Karam, direttore nazionale delle Pontificie Opere Missionarie in Libano, all’agenzia vaticana Fides. In realtà, gli effetti di questa caduta si irraggerebbero inevitabilmente su tutta la regione, dal Libano a Israele. In particolare, in un momento in cui la questione del nucleare iraniano si avvia a un passaggio cruciale, è evidente che la posizione del Paese retto da Assad diventa fondamentale.
© 2012 Romina Gobbo
pubblicato su La Voce dei Berici – domenica 12 febbraio 2012 – pag. 5