«Avrai frainteso, sopporta, cerca di essere più gentile, più paziente, in fondo è successo una sola volta»: la famiglia, gli amici non sempre capiscono, o preferiscono non capire. E di solito non hanno ragione, perché un uomo violento, difficilmente cambia. Così accade che in Italia si verifichi un “femminicidio” ogni tre giorni. Il termine, con riferimento al caso italiano, è stato usato da Rashida Manjoo, relatrice speciale alle Nazioni Unite sulla violenza contro le donne. Si tratta di un drammatico neologismo coniato per la prima volta nel 2009, quando il Messico venne condannato dalla Corte interamericana dei diritti umani per le 500 donne violentate e uccise dal 1993, nella totale indifferenza delle autorità di Ciudad Juarez. Un primato al negativo, riconfermato nuovamente lunedì scorso dal caso di Mozzecane (Vr), che ha visto l’ennesimo uomo uccidere la moglie, strangolandola con un foulard. La follia omicida scatenata da un sms sospetto.
Ma è ora di finirla con la storia dei delitti passionali, che hanno fatto la fortuna della cinematografia noir, ma che ben poco hanno a che vedere con la realtà. «Bisogna smettere di chiamare delitti passionali i casi di uomini che ammazzano compagne e figli, come se fosse il troppo amore a motivarli – afferma con enfasi la sociologa Chiara Saraceno -. A motivarli è solo l’idea del possesso: “Se ho scelto questa donna, allora lei è mia, e una volta che è stata mia, non può essere di nessun altro, tantomeno di sé stessa”. Da qui al “Se non stai con me, allora devi morire”, il passo è breve. È il maschile impazzito, che vuole perpetrare un rapporto asimmetrico, che ha una visione completamente distorta della relazione. Certo, le radici di questo vengono da lontano, dalla subalternità storica delle donne, che ne legittimava il possesso da parte dell’uomo. Quindi, in questi uomini non c’è amore per niente, anzi, è proprio il contrario. C’è la mancanza assoluta del rispetto della distanza della compagna, del fatto che è una persona per sé stessa. Vengono coinvolti i figli, ammazzati per far dispetto alla madre, che magari è stata ammazzata prima. Questo per dare l’idea della follia di tale disegno, dove i figli non hanno un’identità autonoma, hanno valore solo come scambio». Insomma, la Medea del ventunesimo secolo porta i pantaloni.
Con 36 casi di omicidio in ambito familiare e 48 di tentato omicidio – quasi una vittima di omicidio realizzato o mancato a settimana – registrati nel triennio 2009-2011, il Veneto entra a gamba tesa nella statistica nazionale (dati della ricerca promossa dalla Commissione regionale pari opportunità del Veneto e condotta dall’Osservatorio nazionale violenza domestica/Onvd). «Noi vediamo solo la punta dell’iceberg – continua Saraceno -, quella che viene denunciata o quella che ha effetti così eclatanti, che diventa visibile. Ma la casistica è enorme: da chi non si sente di denunciare, a chi prima lo fa e poi ritratta, a chi non riesce a guardare in faccia il problema, a chi è bloccata dal senso di colpa o schiacciata dala pressione sociale… Mi è capitato di avere di fronte coppie, in cui lei magari dice qualcosa che a lui non piace; lo sguardo di lui cambia, ed è come se si sentisse in diritto di poterle dare una lezione. E, molto spesso, sono persone colte, la violenza in questo senso, è trasversale». Il carnefice, per lo più, è una persona conosciuta dalla vittima, il che è ancora più inaccettabile e difficile da prevedere. Nel 45,6% dei casi il contesto è quello del rapporto di coppia (matrimonio, convivenza, fidanzamento); nell’8,7% la mano è quella dell’ex. «Troppo spesso queste uccisioni avvengono dopo che lei se n’è andata, evidenziando che in quel rapporto non stava più bene. Probabilmente, segnali ce n’erano, ma, anche quando le donne li colgono e se ne vanno, non sono al riparo. Spesso, anche chi ha denunciato atti di stalking, non è protetta. D’altra parte, non si può sapere se, quando e dove, uno passerà dalle parole ai fatti».
Ma il fenomeno non è solo di oggi. «La violenza contro le donne non è aumentata, ma è aumentata la sua incidenza, cioè, mentre gli altri atti di violenza sembrano in leggera flessione, essa, soprattutto quella in famiglia, resiste», aggiunge Saraceno. «La violenza in famiglia, pur sotto altre forme e con altre connotazioni, esiste con l’esistere dell’uomo – interviene Marina Bacciconi, responsabile dell’Onvd – forse quale parte costitutiva dell’aspetto dolente dell’umanità».
Se segnali ci sono, bisogna insegnare alle donne a coglierli. «Diffidate di chi sembra che ci tenga troppo – riprende Saraceno -, che vuole stare sempre assieme, che non vi permette spazi di autonomia. Mi sento un brivido nella schiena quando sento dire, avvalorato anche da certa cultura, che solo la coppia è importante e tutto il resto è secondario. Appena la donna si conquista dei momenti di autonomia, scatta la gelosia, la non accettazione del fatto che lei possa avere degli spazi di non controllo. Siate sospettose quando c’è un eccesso di appropriazione, non sentitevi orgogliose». «Viviamo una realtà culturale e sociale sempre più in rapido mutamento e, in parte, sempre più ambivalente e connotata da ipocrisia, insomma “in mezzo al guado” tra una sponda dove permangono “antichi” valori e gerarchie “superate”, e una dove è ancora tutto da costruire», afferma Bacciconi. «Anche la Chiesa ha mancato. Oltre che insistere sulla santità del matrimonio, dovrebbe attrezzare le coppie a separarsi quando è necessario, senza che i due si sentano dei falliti. Lasciarsi prima di arrivare all’auto-distruzione, anche per il bene dei figli, inconsapevoli testimoni, se non vittime, degli atti di violenza», conclude Saraceno.
Intanto, per volere della Commissione pari opportunità del Consiglio Nazionale Forense, e grazie ai fondi dell’Unione Europea, è in arrivo il pool di super-avvocati, specializzati nella difesa delle donne. Corsi, esame finale e la certificazione che ne attesterà le competenze specifiche in materia di stalking, molestie, tratta, riduzione in schiavitù. Figure necessarie in un Paese in cui gli autori di uno stupro di gruppo ai danni di una minorenne, per la Cassazione non meritano il carcere…
© 2012 Romina Gobbo
pubblicato su La Voce dei Berici, 11 marzo 2012