L’Africa “cammina” con i piedi delle donne, ma anche con la loro testa e il loro cuore – Africa “walks” on women’s feet, but also with their head and their hearts

Nel continente nero è cominciata la rivoluzione rosa. E non è solo una questione di abito, anche se non c’è dubbio che il mondo delle donne africane sia un mondo a colori. La vera ricoluzione comincia dal nord – dalla Svezia – e raggiunge il sud – l’Africa. Ed è così che sabato 10 dicembre, nella Giornata mondiale dei diritti umani, con la motivazione “per la loro battaglia non violenta per la sicurezza delle donne e per il loro diritto a partecipare alla costruzione della pace”, riceveranno il Nobel per la pace 2011, la presidente della Liberia, nonché prima donna eletta presidente in Africa, Ellen Johnson Sirleaf, arrivata al potere dopo 14 anni di guerra civile, e che per questo dice: «Nel mio Paese mi considerano la madre della nazione», e la sua compatriota, la militante pacifista Leymah Gbowee (con loro a ricevere il Nobel, anche Tawakkul Karman, attivista yemenita), che non ha dubbi: «Il futuro dell’Africa è nelle mani delle donne». Un futuro a cui ha contribuito la campagna Noppaw (Nobel Peace Prize for African Women), ideata dalle associazioni Cipsi e Chiama l’Africa, proprio con l’intento che il prestigioso riconoscimento fosse assegnato alla fatica delle donne africane. «Grazie al Nobel, il mondo “riscopre” la Liberia», ha detto la Sirleaf. «La condizione delle donne, le loro esigenze e priorità non potranno più essere ignorate da nessuno», le ha fatto eco Leymah Gbowee.

img_3233Pelle color cioccolato e labbra carnose. Bimbi sulle spalle, un cesto sulla testa, che ne enfatizza il portamento regale. Piedi scalzi che percorrono ogni giorno 10, 15 chilometri per andare al pozzo a prendere l’acqua. Mani callose che hanno conosciuto il lavoro fin da piccole. Ma anche corpi sinuosi che danzano al ritmo del djembè. Tutto questo è la donna africana, spina dorsale di un continente di oltre un miliardo di persone, impegnata in tutti i settori: dalla cura della casa e dell’infanzia all’economia (le donne in Africa rappresentano il 70 per cento della forza agricola, producono l’80 per cento delle derrate alimentari e ne gestiscono la vendita per il 90 per cento; ma, ironia della sorte, l’80 per cento di loro vive sotto la soglia di povertà), dalla politica all’arte, dalla cultura all’impegno ambientale. Senza l’oggi delle donne non ci sarebbe un domani per l’Africa. Eppure, le donne rimangono spesso ai margini della società a causa del loro insufficiente accesso a due risorse chiave, l’educazione e la salute. Il tasso di scolarizzazione delle bambine alle elementari resta estremamente basso (67%). E i progressi per arginare la mortalità materna sono ostacolati dai fatto che poco più della metà delle parti beneficiano dell’assistenza di personale qualificato. Perché in generale i governi africani destinano poche risorse ecnomiche alla sanità, ma anche, più banalmente, perché le distanze sono enormi: in Sud Sudan, per esempio, solo il 30-40 per cento della popolazione vive a un solo giorno di cammino da una struttura sanitaria. Così succede che, ogni anno, nell’Africa subsahariana, 265mila donne muoiano dando alla luce un figlio, e un milione e 200mila bambini non arrivino al primo mese di vita. A questo si aggiungono i ritmi di lavoro durissimi (in media, 17 ore al giorno), le precarie condizioni igienico-sanitarie, le carenze nutrizionali. Aiutare una donna significa aiutare l’intera comunità. «Ecco perché il Nobel non rappresenta un punto d’arrivo, bensì un punto di partenza – spiegano gli ideatori della campagna Noppaw (www.noppaw.org) -. Le donne africane chiedono di continuare a costruire relazioni, a raccontare le loro storie, a far conoscere il loro protagonismo quotidiano e umile». Ellen è una settantenne, Leymah quasi una quarantenne e poi c’è Tawakkul, la ragazza che, al grido di «Guardate all’Egitto, vinceremo», ha guidato la rivolta nello Yemen. Perché non solo le donne africane sono a un punto cruciale, ma anche le donne arabe. Ma questa è un’altra storia.

© 2012 Testo e foto di Romina Gobbo 
pubblicato su White Circus (Synetica) –anno 2 – n. 3

 

ENGLISH VERSION

nobeltrioIn the Dark Continent the Pink Revolution has begun. It is not just a matter of clothes, even if there is no doubt that the world of African women is a colorful world. The real revolution starts from the north – from Sweden – and reaches the South-Africa. And so Saturday, December 10, on the Huamn Rights World Day, “for their non-violent struggle for the safety of women and for the women’s rights to full participation in peace-building work”, the Nobel Peace Prize 2011 will be given to the president of Liberia and first woman to be elected president in Africa, Ellen Johnson Sirleaf, come to power after 14 years of civil war, and for this reason she says: “In my country I am considered the mother of the nation”, and her country fellow, the militant pacifist Leymah Gbowee (to receive the Nobel Prize with them, also Tawakkul Karman, Yemeni activist), who has no doubts: “The future of Africa lies in the hands of women”. A future helped by the campaign Noppaw (Nobel Peace Prize for African Women), designed by the associations Cipsi and Chiama l’Africa precisely with the intent that the prestigious prize awarded the hard work of African women. «Thanks to the Nobel prize, the world “rediscovers” Liberia», Sirleaf said. «The status of women, their needs and priorities can no longer be ignored by anyone», she was echoed by Leymah Gbowee.

img_3248Chocolate brown skin and full lips. Children on their shoulders, a basket on her head, which emphasizes their regal bearing. Walking barefoot for 10, 15 miles every day to go tothe well to fetch water. Calloused hands who have known work from an early age. But also sinuous bodies dancing to the rhythm of the djembé. All of this is the African woman, the backbone of a continent of over one billion people, engaged in all areas: from house and child care to economy (in Africa, women account for 70 percent of the agricultural workforce, producing 80 percent of food and managing its sale for 90 percent, but, ironically, 80 percent of them live below the poverty line), from politics to art, from culture to environmental commitment. Without the women there would not be a tomorrow for Africa. Yet, women often remain on the margins of society because of their inadequate access to two key resources, education and health. The schooling rate of girls in primary school is extremely low (67%). And progress in terms of maternal mortality are hampered by the fact that slightly more than half of them shares benefit from the assistance of qualified personnel. Because in general, African government devote few resorces to health, but also, more simply, because the distances are enormous: in South Sudan, for example, only 30-40 percent of the population lives a single day’s walk from a health facility. So, every year, in sub-Saharan Africa 265,000 women die giving birth to a child, and a million and 200 thousand children do not survive after the first month of life. Add to this the very hard work pace (on average 17 hours per day), poor health conditions, nutritional deficiences. Helping a woman is helping the whole community. «That’s why the Nobel prize is not a point of arrival, but a point of departure – explain the originators of the campaign Noppaw (www.noppaw.org) -. African women of any ethnicity, culture, religion and generation. Ellen is 70, Leymah almost 40, and then there’s Tawakkul, the girl who led the revolution in Yemen shouting «Look at Egypt, we will win». Because not just African women are at a crucial point, but also Arab women. But that’s another story.

© 2012 Romina Gobbo’s article and pictures
issued on White Circus (Synetica) –year 2 – n. 3

 

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