«Tutti i libanesi attendono con ansia la visita del Santo Padre. I cristiani sono pieni di gioia, ma anche i musulmani lo aspettano. Sarà per tutti noi un avvenimento importante, ci porterà sostegno morale e speranza in un momento storico così critico per il Paese». Esprime così monsignor Béchara Raï , da marzo 2011 77˚ Patriarca maronita di Antiochia, il clima di attesa per l’arrivo in Libano di Benedetto XVI . L’elezione di monsignor Raï , il cui motto patriarcale è “Comunione e amore”, è piaciuta anche ai musulmani, sunniti e sciiti si sono congratulati, e la sua intronizzazione è avvenuta il 25 marzo, festa dell’Annunciazione. «In Libano», spiega, «è un giorno festivo, simbolo dell’amicizia tra cristiani e musulmani nel nome della Madonna». Il patriarcato maronita ha sede a Bkerké in Libano, ma da monsignor Raï dipendono i fedeli cattolici di questo rito in tutto il mondo, compresi quelli di nazionalità siriana. Ed è proprio in Siria che san Marone, monaco vissuto nel IV secolo, ha dato origine alla Chiesa maronita. Alla fine del VII secolo, per sfuggire alle persecuzioni, i maroniti si trasferirono in Libano. E oggi la Chiesa maronita è una Chiesa cattolica sui iuris , rimasta sempre fedele alla sede di Roma. Vi aderisce la maggioranza della popolazione cristiana libanese. Dal 14 al 16 settembre il Papa, dunque, si recherà nel Paese dei cedri, punto di incontro di diverse culture e crocevia strategico del mondo mediorientale. Un evento particolarmente significativo, anche perché nelle scorse settimane è stato messo a rischio dalla gravità della situazione siriana, di cui, ovviamente, per motivi storici, politici e di vicinanza geografica, il Libano risente. Invece, tutto come da copione: Benedetto XVI incontrerà i capi delle comunità religiose musulmane e rivolgerà un discorso ai membri del Governo, delle istituzioni della Repubblica, al corpo diplomatico, ai capi religiosi e ai rappresentanti del mondo della cultura. Ma la visita sarà soprattutto l’occasione per la firma (venerdì 14) e la pubblicazione dell’esortazione apostolica post-sinodale dell’assemblea dei vescovi per il Medio Oriente, che ha avuto luogo in Vaticano nell’ottobre 2010. Il documento contiene un piano pastorale per la Chiesa cattolica nella regione, che contempla tre aspetti: la presenza effettiva dei cristiani in un contesto sociale problematico; il dialogo della Chiesa cattolica con quelle ortodosse e protestanti; la necessità del dialogo interreligioso come strumento di pace in queste terre martoriate. Altri momenti particolarmente significativi della visita saranno l’incontro con i giovani (sabato 15) e la messa conclusiva a Beirut (domenica 16).
Monsignor Raï , il Libano resta fulcro del cristianesimo nel mondo arabo?
«Certo. E ciò per via del grande numero dei cristiani nel Paese e per la presenza di molte istituzioni cristiane: diocesi e parrocchie delle varie Chiese cattoliche, ortodosse, protestanti. E poi i cristiani sono ben radicati nel tessuto sociale: lavorano nelle scuole, nelle università, nelle banche e negli ospedali; sono proprietari di terreni e di aziende. I cristiani si trovano in Medio Oriente da duemila anni e hanno lasciato l’impronta del Vangelo in queste terre. La loro testimonianza di vita e di servizio è ben consolidata. Per quanto attiene al Libano, in particolare, i cristiani sono riusciti a creare, assieme ai musulmani, un Paese democratico che separa religione e Stato, differente dagli altri Paesi del mondo arabo, tutti guidati da regimi religioso-teocratici. Quando i sistemi sono religiosi, si instaurano sempre regimi dittatoriali, che escludono non solo la voce del popolo, ma anche le opposizioni».
Lei ha detto che la debolezza dei cristiani dipende dalle loro divisioni. Quindi, uno dei suoi primi impegni è stato far incontrare i quattro massimi esponenti politici maroniti. Quali sono gli aspetti su cui puntare per ritrovare l’unità fra i cristiani?
«I cristiani sono divisi a causa delle opzioni politiche, influenzate dal conflitto intermusulmano tra sunniti e sciiti a livello regionale, con implicazioni internazionali. Bisogna che i cristiani mettano al primo posto il bene del Paese, che dev’essere al di sopra di tutti gli interessi personali, e che prendano coscienza che il Libano non potrà riprendere il suo corso normale – politico, economico e sociale – se i cristiani rimangono divisi. L’unità dei cristiani fa la loro forza e garantisce l’uscita del Paese dalle sue crisi.
Lei ha anche affermato che i mali del Libano nascono dalla dipendenza dei politici dai Paesi stranieri. E questo fa mancare la lealtà verso lo Stato. Quanto pesa l’interferenza esterna?
« Il Patto nazionale del 1943, concordato fra cristiani e musulmani, ne stabilisce la convivenza, poi regolata dalla Costituzione. Il musulmano libanese ha rinunciato al sistema religioso, il cristiano libanese ha rinunciato alla laicità alla maniera occidentale; insieme, hanno creato uno Stato civile che rispetta tutte le religioni e le comunità, e quindi non può che essere democratico, liberale e a favore dei diritti dell’uomo. Quello stesso Patto stabilisce anche la neutralità del Libano, ossia la non alleanza con qualsiasi Paese d’Oriente o d’Occidente. Purtroppo, i musulmani non hanno rispettato totalmente questa neutralità, il che spiega il conflitto politico tra i sunniti, dipendenti politicamente dall’Arabia Saudita, e gli sciiti, legati all’Iran».
Il Libano non corre il rischio di diventare uno Stato islamico, considerato anche il fatto che, a causa del conflitto e della situazione economica critica, molti cristiani scelgono di andarsene?
«Non c’è questo rischio, ma c’è quello di perdere il volto politico cristiano, che fa del Libano un Paese democratico, aperto alla modernità, neutrale e amico di tutti i Paesi in seno alla Lega araba e alla comunità internazionale. Il rischio aumenta, invece, se i cristiani rimangono divisi e legati ai due gruppi in conflitto, appunto sunnita e sciita. E i cristiani devono restare, come numero e come influenza, perché, se se ne vanno, il Libano rischia di perdere un po’ della sua identità».
La situazione in Siria si aggrava di giorno in giorno. Il Libano, naturalmente, ne risente, sia per l’afflusso dei profughi, che per le violenze che si cominciano a perpetrare al confine.
«Il Libano è chiaramente influenzato da questi avvenimenti, trascinato nella divisione tra i siriani. In genere, i sunniti libanesi con i loro alleati cristiani sostengono l’opposizione siriana, mentre gli sciiti, con i loro alleati, sostengono il regime. Si è creata, inoltre, una certa tensione tra sunniti e alawiti libanesi. Purtroppo, poi, il Libano è utilizzato da certi Paesi arabi e non arabi quale luogo di transito per armi e aiuti finanziari destinati sia al regime, che all’opposizione».
© 2012 Romina Gobbo
pubblicato su Jesus – domenica 9 settembre 2012