
Monsignor Luigi Padovese
In sinagoga si legge la Torah in greco, nella chiesa dei greci si prega in arabo, in quella cattolica si usa il turco e alla Messa di Natale non è inconsueto vedere in chiesa ragazze velate. Una convivenza reale, ma non sufficiente a fermare la mano di Murat Altun che, il 3 giugno 2010, ha ucciso monsignor Luigi Padovese, vicario apostolico dell’Anatolia, impegnato nel dialogo interreligioso. Il tribunale di Iskandar ha condannato Altun a 15 anni di carcere. “La morte di monsignor Padovese – dice l’emiliano padre Domenico Bertogli, frate cappuccino, da 45 anni in Turchia,dal 1987 parroco della chiesa dei Santi Pietro e Paolo ad Antiochia – è stata una tragedia, non solo per la comunità cristiana dell’Anatolia, ma per tutta la Turchia. Lo conoscevo bene, in quanto suo collaboratore come vicario generale; era un uomo pacifico e sempre sorridente, affabile con tutti, il che rende il fatto ancora più inspiegabile”.
Cos’è cambiato in questo lungo tempo in cui lei ha operato in Turchia?
“Si sono fatti molti passi avanti. Il turismo è stato un elemento importante. Poi, il desiderio della Turchia di far parte dell’Europa ha aperto tante porte. Oggi c’è molta predisposizione al dialogo e all’incontro con l’altro, con il ‘diverso’, come è visto il cristiano. Antiochia, poi, è diventata un modello di convivenza con la costituzione del ‘Coro delle civiltà’. Musulmani sunniti e alauiti, cristiani greco-ortodossi, cristiani cattolici, cristiani armeni ed ebrei cantano insieme le lodi di Dio. Un messaggio di fratellanza e di rispetto vicendevole nella diversità dei credo. In questo modo si scopre che prima di essere musulmani o cristiani siamo esseri umani, creature di Dio da rispettare e con cui collaborare per la promozione dell’uomo e della pace”.
Ad Antiochia l’ecumenismo è anche ‘edilizio’: la sua chiesa è a fianco di quella ortodossa e ha dietro la moschea…
“L’ecumenismo qui non è un’opzione, ma una necessità. Siamo in un quartiere prevalentemente musulmano, ma non ci sono mai stati problemi. Vado alla chiesa degli ortodossi tutte le domeniche e celebriamo la Pasqua nella stessa data. I cristiani devono ritrovare quell’unità che li rende segno nel mondo, se vogliono essere credibili”.
CRISTIANI, UNA MINORANZA VIVA
Antiochia si trova a 50 chilometri dal confine con la Siria e a non oltre 100 da Aleppo. Su 200mila abitanti, i cristiani sono mille, quasi tutti greco-ortodossi di lingua araba, dipendenti dal patriarca greco-ortodosso di Antiochia, che risiede a Damasco. I cattolici sono una settantina. Dal 2000 c’è la Chiesa presbiteriana coreana con un piccolo gruppo di fedeli, oltre ad altre piccole Chiese libere con credenti provenienti specialmente dal mondo islamico. La Chiesa cattolica in Turchia è composta da tre circoscrizioni ecclesiastiche di rito latino: la diocesi di Smirne con oltre 1.300 fedeli, il vicariato apostolico di Istanbul con 15mila fedeli e il vicariato apostolico dell’Anatolia con circa 4.500. Quest’ultimo corrisponde alla circoscrizione di padre Bertogli. L’apporto del laicato è minimo proprio perché i cristiani sono pochi. Nel 2012 sono passati 138 gruppi di pellegrini, provenienti da tutto il mondo, oltre a numerosi gruppi giunti da altre zone della Turchia. A questi si aggiungono registi, ambasciatori, giornalisti, archeologi, politici, studenti… Ad Antiochia il 50% dei musulmani è sunnita, l’altra metà alauita. L’aumento dei sunniti, dovuto all’arrivo dei profughi siriani, rischia di creare tensioni.
© 2013 Romina Gobbo
pubblicato su Famiglia Cristiana – anno LXXXIII – n. 5 – 3 febbraio 2013