India, il paese che odia le donne

In India le divinità convivono con le persone (ph Romina Gobbo)

Uno stupro, poi un altro e un altro ancora. L’India, quella degli ashram e dei sadu, quella delle divinità a ogni angolo della strada e dei bagni nel Gange, improvvisamente sale agli onori della cronaca come un Paese che si accanisce contro le donne. Ma non tutti sanno che è una pratica che viene da lontano, radicata nella vita quotidiana. Con buona pace di Gandhi e della cultura della non-violenza.

«La nostra è una società patriarcale, dove il dominio dell’uomo sulla donna rimane indiscusso»: dice Bimla Chandrasekar, direttrice di Ekta, Resource Centre for Women di Madurai, nello Stato del Tamil Nadu. Infatti, le discriminazioni persistono, alimentate da madri che continuano a preferire i figli maschi, tanto che l’aborto selettivo è ben presente, facilitato dalla diffusione delle ecografie, che permettono di conoscere il sesso del nascituro.

Certo, fatti come quello dello scorso 16 dicembre, lo stupro e femminicidio di gruppo di una 23enne su un autobus a New Delhi (a cui, nelle settimane successive, sono seguiti molti altri), sono un pugno nello stomaco, per la brutalità con cui sono stati perpetrati. Un orrore che ha scosso profondamente la società civile, che è scesa in strada in massa a protestare e a chiedere misure estreme per i responsabili, ma che evidentemente fino ad allora era rimasta assopita, visto che proprio New Delhi ha il triste primato di città con il maggior numero di stupri. Solo nell’ultimo anno, la polizia ha registrato 635 casi, rispetto ai 564 del 2011.

Ecco che i fatti accaduti nell’ultima parte del 2012 non possono dirsi, né isolati, né tantomeno inaspettati. E non dimentichiamo che, per ogni violenza accertata, almeno altre 50 non sono state denunciate. Questo perché le misure di protezione per le vittime, pur presenti nella legislazione, spesso non vengono applicate. I processi languono, le sentenze non arrivano, il pericolo per chi ha già subito, cresce.

La “modernità” costa cara alle ragazze indiane. Lavorare e magari abitare da sole continuano a essere visti come atteggiamenti da “poco di buono”. Così la violenza diventa l’apice di una serie di comportamenti maschili denigrabili: sguardi lascivi, commenti volgari e molestie. Da questo punto di vista, i mezzi di trasporto pubblici, spesso stipati, sono luoghi perfetti. Ecco perché su Facebook sono aumentati i post che invitano le donne a non usare gli autobus, ma a preferire taxi speciali guidati da autisti donne, a chiudersi dentro la propria auto quando ferme ai semafori, a modificare la routine giornaliera, in modo da evitare che eventuali aggressori conoscano abitudini e abitazione.

Donne in attesa dell’autobus (ph Romina Gobbo)

Nella capitale indiana, metropoli di 14 milioni di abitanti, il mix fra tradizione maschilista e criminalità è esplosivo. Nelle città più piccole ci si  interroga soprattutto sulla violenza domestica. L’ultimo Rapporto “Men and Women in India 2012”, pubblicato dal Ministero indiano per lo Sviluppo, stima che il 43,4% dei crimini contro le donne sono commessi da mariti, fidanzati o familiari. Colpa dell’analfabetismo? No, anzi, la scolarizzazione femminile è aumentata, ma evidentemente non è aumentato di pari grado il livello di consapevolezza. Soprattutto da parte maschile. Le donne indiane hanno il “difetto” di essere belle, hanno occhi profondi e lunghi capelli neri. Per un’europea che arriva per la prima volta in una cittadina del sud come Madurai, dove il passato incide pesantemente sulla vita quotidiana, è un piacere vedere l’eleganza con cui le donne del posto vestono sari colorati o salwar kameez (il tipico pantalone stretto con camicione), ricchi di ricami, perline e paillettes, e come ingentiliscono la treccia con un fiore.

Poi però leggo sul giornale locale che tre studentesse sono state multate per aver indossato una t-shirt. Il preside giustifica la punizione dicendo che a scuola è necessario il decoro, ma lasciando intendere, tra le righe, che certi abiti sono una provocazione per l’uomo. Allora, mi monta la rabbia. Se la t-shirt è vista come una provocazione, forse è meglio che gli uomini comincino una seria riflessione su sé stessi, perché hanno un grosso problema. Ma quello che non è più tollerabile è il tentativo di giustificazione. Nulla giustifica uno stupro, una violenza, e men che meno un omicidio. Le attenuanti per i “mostri” sono un insulto a chi di quei mostri è stata vittima.

© 2013 – Testo e foto di Romina Gobbo

pubblicato sul sito unosguardoalfemminile.it – 3 febbraio 2013

http://www.unosguardoalfemminile.it/wordpress/?p=4188

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