E chi l’ha detto che la tartaruga è lenta? Theta, una bella testuggine marina, nonostante trenta chili di peso e l’ingombro di un carapace di 50 centimetri, non ha impiegato un minuto a scomparire tra le acque dell’Adriatico, “burlando” il giovane sub incaricato di seguirla per i primi metri, per assicurarsi della sua riacquisita capacità di nuotare.
Ma Theta, un’età tra gli 8 e i 12 anni (essere più precisi è difficile, ndr), e quindi giovanissima, per un animale che vive in media fino a novanta, ha preso il largo, senza – per così dire – guardarsi indietro. E come non capirla? Davanti il mare aperto, dietro una brutta avventura: l’impatto contro la chiglia di una nave, una ferita che le ha sfondato il carapace fino a raggiungere la colonna vertebrale, per fortuna senza danneggiarla. Altrimenti, sarebbe stata la paralisi.
Invece, un paio d’anni di cure e Theta ce l’ha fatta. Tanto che, seppure ancora con qualche difficoltà nel muovere gli arti inferiori, ha dato del filo da torcere ai due volontari andati a recuperarla dalla caletta pre-rilascio, una sorta di vasca di fisioterapia prima del ritorno in mare definitivo.
A Numana (Ancona) il “miracolo” si è ripetuto per la ventinovesima volta. Tante quante le tartarughe guarite e rimesse in acqua (erano 38, ma 9 non ce l’hanno fatta) quest’estate dal Centro di recupero tartarughe marine (Ospedale delle tartarughe) di Riccione, che fa capo alla Fondazione Cetacea onlus, un’organizzazione senza scopo di lucro, nata nel 1988, con l’impegno di tutelare l’ecosistema marino, soprattutto adriatico.

L’ammiraglio Giovanni Pettorino al momento del rilascio in mare della giovane testuggine (ph Romina Gobbo)
E, allora, Theta, vai. Deve averlo pensato anche l’ammiraglio Giovanni Pettorino, comandante regionale della Guardia Costiera delle Marche (da anni la Fondazione è punto di riferimento per le Capitanerie di porto), mentre la prendeva dalla gerla e la deponeva sul bagnasciuga. Lei – per nulla intimidita dal folto gruppo di curiosi, e neppure dalla presenza del sindaco di Numana, Marzio Carletti – si è ripresa la sua libertà. E, a proposito dell’elogio della lentezza, la tartaruga marina può raggiungere una velocità di 35-40 chilometri all’ora.
«OGNI VOLTA CHE RIMETTIAMO IN ACQUA UN ANIMALE È UNA GRANDE EMOZIONE, CI FA SENTIRE DI AVER FATTO QUALCOSA DI BUONO»
«Theta aveva una ferita molto profonda», spiega Andrea Dall’Occo, giovane veterinario, che collabora col responsabile sanitario della Fondazione, il dottor Giordano Nardini (della Clinica Veterinaria Modena Sud). «Ha continuato a sanguinare per due giorni, poi le abbiamo somministrato un medicamento ottenuto dal suo plasma, che ha velocizzato la cicatrizzazione. Le tartarughe sono animali forti, e Theta ha dimostrato ampiamente di voler riprendersi. Il tempo di cura si è protratto perché volevamo che fosse ben rinforzata prima di rilasciarla. Ed effettivamente si è rivelata piena di energia. Ogni volta che rimettiamo in acqua un animale è una grande emozione, ci fa sentire di aver fatto qualcosa di buono».
Theta è una “caretta caretta”: è la specie più comune e anche la più piccola tra le tartarughe del Mediterraneo: può raggiungere i 110 centimetri di lunghezza e un peso di 180 chilogrammi. Il carapace è di colore marrone-rossiccio, mentre il piastrone è giallastro; ha la testa ricoperta di squame.
L’Adriatico, per la quantità e varietà di cibo che offre, è il mare con la concentrazione di tartarughe marine maggiore rispetto a tutto il Mediterraneo: dalle 40 alle 60 mila. Ma il rischio estinzione è ben presente. C’è la selezione naturale, per cui il 90% dei nuovi nati non ce la fa dalla spiaggia a raggiungere il mare. E poi ancora una volta l’uomo ci mette del suo. La pesca con reti a strascico, gli incidenti con le barche, gli ami sono tra le cause maggiori di morte delle tartarughe marine. E anche di ferite. Ecco perché dal 2010, il centro di recupero di Riccione è la struttura di riferimento per la Regione Marche.
Una grande vasca di riabilitazione da 15 mila litri, collegata con altre due da 1.000 litri, il tutto associato a un impianto di filtraggio, UVB e riscaldamento; tre vasche da 1.500 litri con impianto di filtraggio e riscaldamento, una di quarantena di 1.500 litri e un’altra smontabile di 600 litri: sono le attrezzature sanitarie di un complesso che ha una capacità di accoglienza di 33 animali contemporaneamente. Oggi è rimasto Quasimodo, che, avendo un solo polmone, non riesce a mantenersi orizzontale. Nomen omen. Questo suo strano galleggiare perpendicolare all’acqua rimanda all’incedere goffo del celebre personaggio nato dalla fantasia di Victor Hugo.
L’OSPEDALE DELLE TARTARUGHE QUESTA ESTATE HA AVUTO 38 MILA VISITATORI

Il veterinario Andrea Dall’Occo mentre cura una delle tartarughe ospite del Centro (ph Romina Gobbo)
La Fondazione Cetacea onlus è costituita da 22 soci, e può contare su una trentina di volontari, oltre che sul prezioso lavoro della biologa Valeria Angelini. Dal 2009, la struttura ospita “Adria. Centro recupero animali marini e di divulgazione sul mare Adriatico”, perché parte della mission della Fondazione (in qualità di Ceas, Centro di educazione ambientale e alla sostenibilità) sono le attività educative, rivolte agli studenti di ogni ordine e grado, e di divulgazione in genere. A questo servono le diverse sale espositive, una sala video e una per le conferenze, un laboratorio e una biblioteca specializzata.
Ma, poiché l’Adriatico non è solo nostro, la Fondazione partecipa al progetto europeo Net-Cet (Albania, Montenegro, Slovenia, Croazia), che mette in rete le attività di controllo, intervento e recupero di tartarughe marine e cetacei.Un sito, una pagina facebook e procedure condivise, dove ogni Paese pone la propria esperienza al servizio degli altri.
«La nostra idea di fondo», afferma Sauro Pari, presidente della Fondazione Cetacea, «è che non c’è conservazione se non c’è conoscenza». È un piacere ascoltare questo ex collega, mentre racconta che nel 2005, dal curare l’edizione del periodico Cetacea Informa, è passato direttamente a curare… le tartarughe. «La maggior parte dei nostri introiti», riprende, «sono contributi privati e la gente – giustamente – vuole sapere dove vanno i soldi che dona. In questo senso, l’apertura estiva dell’ospedale è fondamentale, perché ci permette di spiegare il lavoro che facciamo. Quest’estate abbiamo avuto 38 mila visitatori. Se si prende coscienza dell’esistenza di questi animali, emotivamente si partecipa della loro vita. Nel passato, molte persone ci chiedevano la provenienza delle tartarughe marine, pensando che fossero animali esotici. Oggi questo avviene sempre meno. Evidentemente, si è cominciato a capire che le tartarughe sono dell’Adriatico e quindi sono patrimonio nostro, e come tali vanno salvaguardate».
© 2013 – Romina Gobbo
Pubblicato su famigliacristiana.it – 7 ottobre 2013