«Se Bergoglio ha sempre taciuto sulla vicenda è per il suo grande rispetto per il dolore dei coinvolti. In Argentina quei terribili anni della dittatura rimangono una ferita aperta»
L’obiezione principale che gli viene sollevata è di avere compiuto una felice operazione di marketing. E non potrebbe essere che così. Perché di primo acchito, l’idea che un giornalista di Avvenire, il cui editore è la Conferenza Episcopale Italiana, scriva un libro per difendere papa Francesco dalle insinuazioni di ignavia, se non addirittura di complicità con la dittatura militare argentina del generale Jorge Videla che, dal 1976 al 1983, fece sparire 30mila persone, ne arrestò cinquantamila, molti dei quali furono seviziati, e costrinse all’esilio 2 milioni di oppositori, potrebbe “puzzare di sudditanza”. «Ma, secondo voi, il Papa è così ingenuo da farsi “ripulire la facciata” dai suoi? Vuoi che non potesse trovare un autorevole collega noto per le sue posizioni (apparentemente) lontane da lui?».
Nello Scavo, catanese, classe 1972, sarà a Vicenza, lunedì 14 ottobre, alle 21, nella sala Areopago del Centro culturale San Paolo (viale Ferrarin 30). «All’indomani dell’elezione di Bergoglio al soglio di Pietro, la stampa si è scatenata, il New York Times, ma anche Página/12 e Il Fatto Quotidiano, con gli articoli di Horacio Verbitsky, il più accanito accusatore di papa Francesco.
Mi sono chiesto: e se il Conclave avesse scelto l’uomo sbagliato? Sono un cronista di giudiziaria, mi occupo di criminalità e terrorismo internazionale. Se le prove raccolte avessero dimostrato una qualche colpa del Papa, avrei raccontato la verità. Certo, da cattolico, mi sarebbe dispiaciuto, soprattutto perché è un gesuita e i gesuiti sono la “delta force” della Chiesa, ma come giornalista sarebbe stato un colpo sensazionale, avrei venduto sicuramente molto di più». Anche se – a onor del vero – il libro “La lista di Bergoglio. I salvati da Francesco durante la dittatura. La storia mai raccontata”, pubblicato per i tipi della Editrice Missionaria Italiana (Emi), con prefazione del premio Nobel per la pace, Adolfo Pérez Esquivel, sta andando alla grande; infatti, sono già stati venduti i diritti delle edizioni in inglese, francese, spagnolo, portoghese, ungherese e croato.
Una decisione rapida quella di Scavo, che lo porta d’istinto a voler decostruire le informazioni ufficiali. Una notte passata su internet lo convince che bisogna approfondire, le prove “contro” sono deboli. Parte per Buenos Aires, ma nessuno sembra aver voglia di ripercorrere quella storia, le cui ferite sono ancora aperte e sanguinanti. «“Scopra da solo quello che va cercando”, mi disse padre Juan Carlos Scannone, massimo teologo argentino, scampato alla persecuzione». Dal Vaticano? «Un muro di gomma».
Parte dall’accusa principale, Scavo, quella che Bergoglio avesse venduto due confratelli gesuiti – i padri Franz Jalics e Orlando Yorio – alla polizia militare, perché erano vicini alla teologia della liberazione, volevano crearsi una loro comunità all’interno della famiglia dei gesuiti e andare a vivere alla periferia di Buenos Aires. Siccome Bergoglio aveva manifestato perplessità all’idea di una comunità nella comunità, questo è stato considerato il movente del suo tradimento. E, d’altra parte, mentre loro erano in prigione, i torturatori alimentarono il sospetto che a denunciarli fosse stato proprio l’allora provinciale dei gesuiti e loro ex allievo. «In realtà – riprende Scavo -, Bergoglio si recò due volte da Videla per chiederne la liberazione, cosa che avvenne: i due vennero narcotizzati a scaricati in mezzo a una palude. Purtroppo, padre Yorio è morto con la certezza che Bergoglio fosse un traditore. Padre Jalics, invece, ha indagato per conto suo e, nel 2006, volle celebrare una messa assieme a Bergoglio e abbracciarlo pubblicamente per mettere fine alle calunnie».
Studiando i documenti, Scavo si accorge che le accuse non hanno molta sostanza, neppure Verdinski parla mai di prove, bensì di deduzioni, testimonianze. «Il regime argentino usava dare soprannomi a tutte le sue fonti primarie: il tigre, il campesino, il biondo… Di Bergoglio non esiste soprannome, non esistono registri della polizia in cui sia citato. E poi c’è la certezza che i gesuiti fossero contro la dittatura. Se padre Bergoglio fosse stato un doppio-giochista, possibile che non sia riuscito a condizionare alcuno dei suoi confratelli? E se anche avesse scelto di denunciare, il suo grido sarebbe rimasto inascoltato, perché all’epoca lui era un perfetto sconosciuto. Invece, ha fatto la scelta più difficile per la sua vita e per la sua reputazione».
A tagliare la testa al toro è un memorandum segreto dell’associazione per i diritti umani Amnesty International, a quell’epoca non tenera con la Chiesa argentina, in cui, a proposito della linea da adottare nei rapporti con i mass media, si legge: “Non abbiamo traccia nei nostri archivi di alcun coinvolgimento dell’ex arcivescovo di Buenos Aires”.
Così l’indagine, passo passo, ricostruisce la vera vicenda. Gonzalo Mosca, sindacalista: Bergoglio lo portò fino alla scaletta dell’aereo, nascosto nella sua auto, attraverso una città piena di posti di blocco; Alicia Oliveira, avvocato, attivista per i diritti umani, prima donna nominata giudice penale in Argentina nel 1973, licenziata dalla giunta militare: Bergoglio le trovava ogni notte un nascondiglio sicuro e poi la portava a vedere i suoi figli. C’è anche una persona che desidera restare anonima: assomigliava a Bergoglio come una goccia d’acqua, tanto che quest’ultimo gli dette il suo passaporto, e lo fece espatriare in Brasile con il proprio nome.
E poi, Alfredo Somoza, letterato milanese, i coniugi Ana e Sergio Gobulin… e tanti altri. L’iter era lo stesso: Bergoglio spacciava le persone ricercate per aspiranti seminaristi, nascondendole nel Colegio Màximo di San Miguel, a circa trenta chilometri dalla capitale, e poi le portava a nord, facendole entrare clandestinamente in Brasile. Successivamente, è emerso che Bergoglio era riuscito a intessere una rete segretissima di collaboratori: c’era chi procurava un posto letto, chi un passaggio in macchina, chi si occupava dei rapporti con i funzionari consolari europei.
La lista contempla un centinaio di persone, ma non è chiusa. La ricerca porta a ritenere che ancora molte persone siano state salvate dall’attuale Papa. Che su tutto questo ha continuato a tacere, se non fosse per i due interrogatori – nel 2010 e nel 2011 – da parte dei magistrati che indagavano sulla violazione dei diritti umani durante la dittatura.
«Io credo – dice Scavo – che se Bergoglio ha sempre taciuto sulla vicenda è per il suo grande rispetto per il dolore di tanta gente, che in Argentina è ancora così vivo. Non ha mai voluto essere un eroe, ma la storia oggi gli sta restituendo i suoi meriti. Quelli che non volevano parlare – poi me l’hanno spiegato – è perché volevano evitare che qualcuno pensasse che era stato Bergoglio a dare loro l’imbeccata. Hanno pre- ferito tacere piuttosto che venire accusati di avere effettuato un’operazione di lifting sul curriculum di Bergoglio».
Insomma, «se dopo aver cercato tanto, le prove non si trovano, è perché probabilmente quelle prove non ci sono», parola di cronista di giudiziaria.
© 2013 – Romina Gobbo
Pubblicato su La Voce dei Berici – 12 ottobre 2013