«La presenza dello Spirito ci ha spinto a rivedere la nostra storia e ad aprirci ad altre sfide», dice padre Daniele Moschetti, provinciale dei comboniani in Sud Sudan. Così, quello che all’inizio fu considerato un fallimento, è diventato un nuovo punto di partenza. Sono passati cinquant’anni da quando, il 27 febbraio 1964, il Consiglio dei ministri del Sudan emanava il decreto di espulsione di tutti i missionari e missionarie stranieri, presenti nelle tre province del Sud Sudan: Juba, Wau e Malakal. “Il Governo del Sudan ha deciso che tutti i missionari stranieri del Sudan meridionale devono essere deportati. Questo riguarda circa 300 missionari, la maggior parte cattolici. Il provvedimento è stato preso perché essi hanno abusato dell’ospitalità concessa dal Sudan e hanno interferito negli affari sudanesi”: questo il comunicato radiofonico trasmesso dalla BBC. In realtà, espellere i missionari cattolici era il primo passo verso il tentativo di islamizzazione del Sud Sudan.
Fra il 27 febbraio e il 9 marzo 154 missionarie comboniane e 104 missionari comboniani furono costretti ad andarsene. Altri erano stati espulsi a scaglioni già dal 1961, tra cui 13 Mill Hill Fathers (della Società missionaria di San Giuseppe), e monsignor Edoardo Mason, anch’egli comboniano, vicario apostolico di El Obeid, precedentemente vescovo a Wau. Cinquantotto missioni rimasero abbandonate. Anche le tre congregazioni religiose locali femminili – Nazareth Sisters di Juba (vescovo Mason), Sisters of Our Lady of Victories a Mupoi (vescovo Domenico Ferrara), Sacred Heart Sisters di Juba (vescovo Sisto Mazzoldi) – dovettero andarsene, rifugiandosi nelle nazioni confinanti. A quel punto, la Chiesa nascente del Sud Sudan (i comboniani erano arrivati nel 1901) poteva contare su un solo vescovo (il primo ordinato nel Paese), monsignor Ireneo Wien Dud, e 28 sacerdoti. Il gruppo dei missionari stranieri espulsi – due mesi dopo, a maggio – andò in pellegrinaggio a Lourdes, per affidare alla Madonna i cristiani del Sudan meridionale, che stavano subendo una vera persecuzione. Gli evangelizzatori furono pure ricevuti da papa Paolo VI, che ebbe per loro parole di incoraggiamento, mentre il Vaticano cercava il dialogo con il governo sudanese, in vista di un possibile ritorno.
Ma quell’espulsione – che «all’epoca fu davvero traumatica», dice Moschetti – fu l’occasione per i comboniani di portare la loro presenza in altri Paesi africani: Congo, Centrafrica, Chad, Togo, Uganda, Etiopia, ma anche Kenya, dando così inizio a quella che sarebbe diventata una nuova provincia. I missionari andarono anche in Europa, America Latina e Medio Oriente. «Rendendo il nostro carisma universale». Ecco perché, quest’anno, a cinquant’anni da quell’espulsione e a 150 dal Piano per la rigenerazione dell’Africa, ideato da Daniele Comboni (Salvare l’Africa con l’Africa), la famiglia comboniana ha organizzato in tutto il mondo degli eventi per celebrare quel momento, all’inizio drammatico, ma poi foriero di nuovo impulso. «Celebriamo i 50 anni dall’espulsione, ma soprattutto celebriamo il 50esimo della nascita di tante altre missioni».
A seguito dell’espulsione, nel Sud Sudan, si sviluppò una Chiesa locale, con una propria gerarchia, clero e religiosi. Nel 1975, due sacerdoti sudanesi furono ordinati vescovi: mons. Gabriel Zubeir Wako e mons. Joseph Abangite Gasi. Nel 1976, fu eretta la “Sudan Catholic Bishops Conference (Conferenza episcopale sudanese). «Rileggere l’accaduto a distanza di mezzo secolo, ci permette di scoprire in esso un evento di Salvezza. Il Signore ha saputo far emergere da quel momento, in sé doloroso e difficile, tanti nuovi frutti. Fare memoria ci aiuta, non solo a ricordare, ma anche ad apprezzare ciò che di nuovo è nato. Così possiamo guardare con speranza e fede anche alla storia presente del Sud Sudan, di nuovo in sofferenza».
Il 9 luglio 2011 il Sud Sudan è diventato il 54° Paese africano. L’indipendenza è stata celebrata da tutti come l’inizio di una stagione di pace. In realtà, soltanto due anni dopo, il 15 dicembre 2013, la storia è cambiata e, a partire dalla capitale Juba, il Paese è ripiombato nella sofferenza. Una nuova guerra civile, che ha visto contrapposti le truppe governative fedeli al presidente della Repubblica del Sudan del Sud, Salva Kiir Mayardit, e i ribelli, guidati dall’ex vicepresidente, Riek Machar. Migliaia di morti e quasi 900mila sfollati. «Nessuno si aspettava le atrocità di quest’ultimo conflitto, una violenza inaudita, gente sgozzata, bruciata, donne stuprate – conclude padre Moschetti -. Anche se il conflitto finisse oggi, servirà almeno un decennio per la riconciliazione».
E di riconciliazione come priorità nella vita civile ed ecclesiale hanno parlato anche i vescovi del Sudan e Sud Sudan, nella loro ultima assemblea di gennaio 2014, dalla quale è scaturita l’esortazione pastorale dal titolo “Rifondiamo la nostra Nazione su una Nuova Alleanza”. Nonostante tutto «Noi crediamo che il popolo uscirà da questa ennesima crisi, più forte nell’affrontare le sfide che la storia e la vita comportano – afferma suor Giovanna Guazza, superiora provinciale comboniane Sud Sudan -. Crediamo anche che, con l’aiuto di Dio, saprà oltrepassare il male del tribalismo e della divisione, e ritrovare l’identità nazionale. Certo, ci vorrà tempo, ma anche questa è, e sarà, storia di salvezza per i sudsudanesi. Anche noi missionari siamo chiamati a farne parte e a scrivere questo pezzo di storia con loro, nella fede, come hanno fatto i nostri antenati. Senza paura e con grande coraggio. Che il Dio della Storia, san Daniele Comboni, i martiri della Mahdia (1885: guerra per liberare il Sudan dal controllo anglo-egiziano, condotta da Muhammad Ahmed Al Mahdi, intenzionato ad instaurare una Repubblica islamica; per questo, i missionari comboniani furono perseguitati, ndr) e santa Giuseppina Bakhita, benedicano tutti noi in questo viaggio verso il futuro, con gioia e fiducia nel Signore».
© 2014 Romina Gobbo
pubblicato su famigliacristiana.it – 10 marzo 2014
http://www.famigliacristiana.it/articolo/in-missione-da-50-anni.aspxAfrica