“Sono la tipa strana che si occupa di omelie”. Si definisce così Simona Borello, torinese, una laurea in Scienze della comunicazione, con una tesi dal titolo ‘Comunicazione e liturgia per un’analisi linguistica delle omelie’.
“Ho registrato e sbobinato una buona quantità di omelie, prendendo a campione le Chiese di Torino e di Catanzaro-Squillace, per cercare di individuare com’erano strutturate le frasi, che parole venivano usate, quali aggettivi, se il testo risultava scorrevole, o noioso… Poi ho intervistato gli omileti per capire quanto fossero consapevoli degli strumenti comunicativi che mettevano in atto. Si ravvisava spesso la non pianificazione, loro puntavano molto sulla pazienza dell’assemblea e su un po’ di dose di fortuna. Molti giustificavano con la mancanza di tempo: queste sono le persone che possono migliorare. C’è, invece, chi considera l’omelia un momento spirituale, che va vissuto nel mentre la si fa, perciò non ritiene che debba essere preparata prima. Poi c’è chi si concentra molto sui contenuti, ma fatica a individuare gli aspetti comunicativi che invece servirebbero a rendere quei contenuti più digeribili”.
Dal 2002 a oggi Borello di omelie ne ha ascoltate molte e ha anche organizzato seminari, conferenze e corsi di formazione. Ecco perché, quando a fine 2012, l’Ufficio liturgico nazionale, in collaborazione con quello catechistico e per le Comunicazioni sociali, ha deciso di avviare un ‘ProgettOmelie’ strutturato, che coinvolge inizialmente cinque diocesi per poi essere esteso a livello nazionale, hanno chiamato la dottoressa Borello a coordinarlo.
Su che cosa lavorano le diocesi?
“Non tanto sui contenuti, bensì sull’aspetto comunicativo. L’altro capisce quello che gli voglio dire? Il tono di voce com’è? Affidabile, minatorio, caldo? E’ un’omelia troppo corta o è troppo lunga? Gli osservatori si concentreranno su elementi molto focalizzati, per aiutare a compiere piccoli passi. Questo progetto vuole essere un luogo di dialogo e di ascolto tra i preti, gli osservatori e i formatori, per un confronto veramente arricchente”.
Qual è la sua omelia tipo?
“Credo molto nel fatto che le omelie valgono qui e ora. Non c’è la ricetta magica e non c’è l’omelia migliore. Ciascuna è pensata per una comunità che vive un determinato momento storico, e dev’essere autentica. Se c’è l’autenticità, anche se ci sono sbavature, sono benevola”.
Com’è stata accolta dai sacerdoti una donna e, per di più, con la pretesa di formarli?
“Qualche volta ho incontrato un po’ di resistenza, ma la maggior parte dei preti ha colto quantomeno il dato oggettivo che io di omelie ne ho ascoltate e ne ascolto molte più di loro”.
© 2014 Romina Gobbo
pubblicato su Avvenire – 16 aprile 2014