«Tutti vogliono il Papa nel proprio cortile, ma siccome non è possibile, è inevitabile che ci sia qualcuno di scontento». Commenta così fra Pierbattista Pizzaballa, Custode di Terra Santa, alla domanda se tutti i cristiani sono contenti della visita del Papa. E sottolinea: «I cristiani di Terra Santa sono noti per essere piuttosto compositi come presenza, quindi non ci sarà mai un unico parere, un unico atteggiamento, anche perché non tutti i cristiani sono cattolici, e i cattolici sono una minoranza».
Fra Pizzaballa, questo è il terzo Papa che viene in Terra Santa, ma questo si chiama Francesco.
«Per noi francescani ha un significato importante. È una sorta di ritorno di Francesco dopo 800 anni, anche se non è esattamente la stessa cosa. Idealmente, questo è anche il messaggio che porterà: di incontro, non di scontro. Qui, dove ci si scontra spesso. Lui viene per incontrare. L’incontro principale sarà quello al Santo Sepolcro, con il patriarca Bartolomeo I. La visita ha un chiaro carattere ecumenico, cioè fra cristiani, che è parte integrante anche della nostra missione come francescani. Cinquant’anni fa, l’incontro fra Paolo VI e Atenagora ha cambiato totalmente il rapporto fra le Chiese. Questo nuovo incontro è una conferma di questo percorso e, penso, anche l’inizio di un nuovo atteggiamento. E questo lo può fare solo uno che ha la libertà di Francesco».
Siete migliorati in questi cinquant’anni sul fronte dei rapporti?
«Certo, è cambiato moltissimo. Cinquant’anni fa, l’incontro fu fatto quasi di nascosto sul Monte degli Ulivi. Quest’anno si fa nel cuore della Gerusalemme cristiana, che è il Santo Sepolcro, ed è organizzato insieme dalle due Chiese».
Ma lo status quo non si tocca…
«Lo status quo è difficile per tutti. Non è che noi amiamo lo status quo. Nessuno lo ama, neanche loro. È però l’unica piattaforma che abbiamo di incontro e di dialogo tra noi. Una piattaforma di dialogo concreto, sulle “questioni condominiali”. E lo statuto di questo condominio è questo; bisognerebbe cambiarlo, ma serve un atteggiamento sempre nuovo. A questo servono gli incontri come quello di papa Francesco con Bartolomeo. Per cui è vero che bisogna migliorare molto, però intanto teniamo quello che c’è, perché se non ci fosse, non ci sarebbe nessuna base di dialogo».
E dal punto di vista teologico?
«Dal punto di vista teologico, non si discute di nulla. Il problema non è teologico. Il problema è pastorale e storico. Non si discute di Gesù. Gesù lo amiamo tutti allo stesso modo. Ciò che ci divide è la storia, la lettura della storia, le ferite che ha provocato, le divisioni tra le Chiese. Quindi, chi è il patriarca? Quello greco o quello latino? Chi deve fare il passo indietro? Ma non in maniera ideale. A dirlo, siamo tutti capaci, ma poi la veglia pasquale chi la fa? Tu o io, o tutti e due? E tutti e due, come? Sono questioni concrete dove, se non c’è un atteggiamento totalmente nuovo, devi tenere quello che c’è. Quello che c’è, è il termometro delle nostre relazioni reali. Perché è molto facile dire che ci dobbiamo volere bene, lo sappiamo tutti. Un’altra cosa è dire io rinuncio a tuo favore. O, tu comandi, io obbedisco. È quando si deve decidere dove sta la linea di confine, che cambia tutto».
Poniamoci un obiettivo: Pasqua 2015 insieme?
«Si è già provato l’anno scorso in alcuni luoghi, ma non ha funzionato molto. Perché, ancora una volta, idealmente siamo tutti d’accordo, ma poi quando devi andare al concreto, ti scontri con situazioni e tradizioni, che si sono consolidate nel tempo. Qualunque cambiamento tu faccia, qualcuno resta fuori. Non c’è una decisione che metta tutti dentro. C’è sicuramente un desiderio sincero di unione da parte di tutti, ma è complicato. A Gerusalemme c’è lo status quo, per cui al Santo Sepolcro non puoi cambiare. Come fai a fare che tutta la Chiesa celebra la Pasqua oggi, e il Santo Sepolcro la settimana prossima, o viceversa? Non funziona. Oppure, facciamo Gerusalemme con il Santo Sepolcro oggi, e le altre in un altro momento? Non funziona. Non c’è un sistema che funziona. Quando si dice le ferite della storia, si intende proprio questo. Questa è la situazione che la storia ha prodotto. Per cambiare le regole, devi redimere radicalmente la tua lettura della storia, liberartene, però senza negarla. E non è così scontato».
Questo papa dirà qualcosa anche dal punto di vista politico?
«Qualunque cosa tu faccia, qui l’aspetto politico è inevitabile; inevitabile, ma non sarà per papa Francesco primario. Se qualcuno si aspetta che dica qualcosa per la causa palestinese, o per il diritto di Israele alla sicurezza, tutte queste cose che si devono dire di rito, credo che sarà deluso. Ed è bene che non dica queste cose, perché non deve stare dentro ruoli già scritti o copioni preparati. È il Capo della Chiesa, che viene qui per un pellegrinaggio di preghiera e l’incontro con Bartolomeo. Questo è il tema. È chiaro che quando vedrà qualcuno che soffre, parlerà contro ogni forma di sofferenza. Ma non spetta a lui dire che i palestinesi hanno ragione e gli israeliani sono cattivi, o viceversa. Di questi temi “obbligatori” siamo tutti un po’ stanchi. Non sto dicendo che non siano cose reali, ma non ci si può servire del Papa per stare dentro questa o quella politica. Basta. Che i politici facciano la politica, i religiosi facciano i religiosi. La causa palestinese e la sicurezza israeliana non dipendono dal Papa, la riconciliazione non la farà il Papa, la devono fare i palestinesi e gli israeliani. Le cose si devono dire, sempre, ma bisogna evitare di diventare strumento della propaganda dell’uno o dell’altro».
Degli atti vandalici contro i Luoghi santi che mi dice?
«Questa gente si è avvalsa di un grosso battage mediatico, ma è un gruppo ristretto di persone, soprattutto nell’ambito della destra israeliana religiosa, un contesto che ormai dal 2008 manifesta il suo malumore. La visita del Papa è strumentale, un pretesto per acquistare visibilità. Non bisogna sottovalutare, perché si inizia con le scritte e, se non si fermano, ci si allarga, ma neppure dare a questa gente più forza di quanta ne abbia. L’israeliano medio prende le distanze, si vergogna anche. Poi c’è la politica, ci sono le lobby, ma questo fa parte dei giochi. Bisogna saperli gestire. Non bisogna entrare nel panico, non gridare “Il mondo è contro di noi, stiamo soccombendo”. Ci sono problemi, non abbiamo paura, andiamo avanti».
Come vanno le vocazioni francescane?
«Dipende da quali prospettive ti dai. Qui in Terra Santa, rispetto alla media europea, non possiamo lamentarci: abbiamo una decina di nuove vocazioni ogni anno – un terzo da qui, due terzi dal resto del mondo -, che poi restano la metà. Rispetto ai bisogni, certamente c’è un problema. Anche perché sono cambiate le necessità, sono diventate più articolate: parrocchie, scuole, santuari, amministrazioni, e poi le lingue; tutto questo richiede preparazione e competenze complesse. Quindi, non è solo questione di vocazione, ma anche di vocazione nella vocazione. E oggi le scelte forti – e vale anche per il matrimonio – sono difficili».
Lo status quo, firmato l’8 febbraio 1852, è un insieme di tradizioni storiche, condizionamenti, regole e leggi, che stabilisce i rapporti, le attività, i movimenti, gli spazi, gli orari e i tempi delle funzioni, gli spostamenti, i percorsi, e il modo di realizzarle, che si svolgono al Santo Sepolcro, nella Basilica della Natività a Betlemme e alla Tomba della Madonna a Gerusalemme, ovvero i Luoghi Santi, la cui proprietà è comune a più confessioni.
LA CUSTODIA IN CIFRE
317 missionari
54 santuari
24 parrocchie
14 scuole
4 case per malati e anziani
3 istituti accademici
2 case editrici
oltre 1.850 posti di lavoro
oltre 650 unità abitative per famiglie bisognose
362 borse di studio annuali per universitari
180 sussidi per studenti in difficoltà
© 2014 Romina Gobbo
da Gerusalemme pubblicato su La Voce dei Berici – speciale Pellegrini con Francesco – domenica 25 maggio 2014 |