Pellegrini con Francesco. Se non ami il tuo nemico non sei più cristiano

«Ogni volta che un Papa viene a visitare la Palestina, la Terra Santa, i Luoghi santi, per noi è un momento di gioia – dice Geries Khoury, fondatore e anima del centro studi interreligiosi Al-Liqa (in arabo: Incontro) di Betlemme, incontrato nel suo ufficio, all’ingresso del campo profughi di Aida (uno dei tre di Betlemme; gli altri sono, il più grande, Dheisheh, dove si recherà Papa Francesco e, il più piccolo, Beit Jibrin, ndr) -. Tuttavia, noi palestinesi lo desideriamo perché sappiamo che il Vaticano e i Santi Padri sono sempre stati vicini al popolo palestinese. Dal punto di vista politico, il Vaticano ha sempre chiesto uno Stato palestinese, sempre ha voluto il ritorno e il rispetto dei diritti dei profughi palestinesi. Perciò, cristiani e musulmani vedono con favore qualsiasi pellegrinaggio di un pontefice in Terra Santa».

Di Papa Francesco, in particolare, che cosa pensa?

«Francesco per me è un papà speciale. Io lo sento come un concittadino, un nostro prete, un nostro vescovo, un nostro patriarca. Perché la mia Chiesa, la Chiesa palestinese è una Chiesa povera, che soffre, che ha bisogno di essere amata. Francesco viene dall’America Latina; anche lì la Chiesa è povera, ha sofferto, ha lottato contro il capitalismo, contro l’oppressione, contro l’ingiustizia sociale, ha posto i fondamenti della teologia della liberazione. Una teologia che ha cercato di aiutare la Chiesa a capire il momento in cui questi credenti vivevano, a capire le loro sofferenze. Allo stesso tempo, la fede di quelle persone era una sorgente di speranza per un futuro migliore. Anche qui: da una parte, la Chiesa soffre, dall’altra, vive la sua gioia, perché questa Chiesa è la Madre Chiesa, è stata fondata qui da Gesù Cristo. Papa Francesco si vede dal suo viso che è un vero cristiano, credente, un vero seguace di Gesù Cristo. I suoi discorsi sono semplici, ma basati sull’amore, sulla preghiera, sulla meditazione. A settembre, quando ha chiesto al mondo di pregare perché non scoppi la guerra in Siria, la sua preghiera e quella di tutti quanti hanno pregato con lui, ha fatto un miracolo. Gli americani hanno rinunciato. Ecco l’intervento del Signore come risposta a quanti hanno pregato per la pace. Il pellegrinaggio di Papa Francesco dà forza alla voce profetica dei cristiani in Terra Santa, una voce che da sempre chiede giustizia, pace, amicizia tra i popoli, le religioni, le culture. Una voce profetica che ha come fine il bene di tutti nel Medio Oriente e nel mondo».

C’è molta aspettativa tra i palestinesi per quello che il Santo Padre dirà?

«A noi palestinesi, senz’altro il Papa dirà che dobbiamo avere la pace come motto. Ma speriamo anche che si rivolga agli israeliani, dicendo che la loro occupazione, che dura da 66 anni, è un gran peccato, commesso da un popolo esso stesso liberato dall’oppressione (la Pésach, ovvero la Pasqua ebraica, ricorda l’esodo e la liberazione del popolo israelita dall’Egitto, con duplice significato: passare dalla schiavitù alla liberazione, dal peccato allo stato di grazia, ndr). Basta con questa oppressione, con questo odio, bisogna fare la pace. E poi spero che il Santo Padre si rivolga anche alla comunità internazionale, ad americani ed europei che parlano di pace, ma fanno la guerra, finanziano e forniscono armi ai gruppi estremisti per distruggere questa Chiesa nel Medio Oriente, specialmente nei Paesi Arabi. Siamo stanchi dell’ipocrisia occidentale, di una politica che distrugge la nostra Chiesa, svuotando il mondo arabo dai cristiani. Il nostro futuro come cristiani nel Medio Oriente dipende da una politica occidentale giusta, che non cerca di demonizzare i musulmani, ma che cerca di aiutare a vivere la molteplicità culturale e religiosa, a vivere come un popolo arabo, cristiani e musulmani assieme. Qui c’è un mosaico di Chiese con liturgie diverse, riti diversi: bisogna veramente proteggere questa Chiesa e questa ricchezza spirituale e culturale».

Quanto è importante la presenza della Chiesa nel mondo arabo?

«È una grazia a livello locale, ma anche internazionale, come rapporto tra Oriente e Occidente, per conoscere meglio l’Islam, per esempio. Noi, piccola minoranza, sappiamo vivere da millenni con un mare di musulmani. Invece, il mondo occidentale non riesce ad avere un rapporto che vada oltre quello economico e militare. Ma questo rapporto non vale niente senza il vero valore umano, senza la dignità dell’uomo. Questa è la vera ricchezza, non i soldi, non le armi. L’Occidente nutre solo l’odio nel Medio Oriente. La Chiesa non può stare zitta davanti a questo atteggiamento. Attraverso il delegato apostolico (mons. Giuseppe Lazzarotto, ndr), consegneremo una lettera al Santo Padre, firmata da più di cento organizzazioni e persone, con la quale chiediamo aiuto per la pace. Non vogliamo altro che la pace. Non vogliamo vincere, vogliamo che veda la situazione – il 70% della nostra acqua è consumata dagli insediamenti – e dica la verità».

Oggi i negoziati sono fermi.

«I negoziati sono un gioco per passare il tempo. Nel 1989 scrissi un libro nel quale dicevo che noi palestinesi, o gli arabi in generale, non sono il vero nemico di Israele, il vero nemico è la pace. Loro hanno paura della pace, perché senza un nemico che li unisce, che cosa hanno in comune? Vengono da 70 Paesi del mondo, con culture e lingue diverse. Ma noi dobbiamo incoraggiarli sul cammino della pace, che sarebbe a loro favore. Loro nel Medio Oriente sono i più avanzati, dal punto di vista agricolo, della tecnologia, sono più capaci, più bravi. Israele diventerebbe il mercato di 250mila arabi, un’occasione economica indimenticabile. E quando il loro popolo avrà soldi e tranquillità, questo assicurerà anche l’unità interna».

Si può amare un ebreo?

«Se tu non ami il tuo nemico, non sei più cristiano. Ma amare non vuol dire accettare ciò che sta facendo. Amare un ebreo significa che bisogna dirgli la verità, che lui sta commettendo un peccato, che se prende la mia casa, lui sta facendo qualcosa contro il Signore. Amarlo è un modo per cercare di farlo tornare, pentire, questo è amore per il nemico. Noi crediamo in un Dio che ha creato tutti, che non desidera il male di nessuno, che si è incarnato per salvarci. Un amore più grande di questo, non ci può essere».

 

© 2014 Romina Gobbo

pubblicato su La Voce dei Berici – speciale Pellegrini con Francesco – domenica 25 maggio 2014

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