“E’ come aver camminato per 57 giorni con un macigno sulle spalle. E ad un certo punto qualcuno te lo toglie”: così il vescovo di Vicenza, monsignor Beniamino Pizziol, ha spiegato ieri, in conferenza stampa, il suo stato d’animo, dopo la liberazione dei suoi preti fidei donum in Cameroun, don Gianantonio Allegri e don Giampaolo Marta, e di suor Gilberte Bussiére. Atterrati con l’aereo militare a Ciampino, martedì sera, i tre sono stati subito sentiti dai pm fino al primo pomeriggio di ieri. In serata sono arrivati a Venezia, e da lì alle rispettive case; la suora, invece, dalla capitale del Cameroun, Yaoundé, è partita direttamente per il Canada. Alla magistratura i rapiti hanno detto di essere stati portati subito in Nigeria, anche se con tappe successive, e di essere stati riportati in Cameroun solo al momento del rilascio. Hanno anche detto di essere stati tenuti sempre tutti assieme, e di essere stati trattati bene. Di fuggire nemmeno a parlarne. Erano nella foresta in una zona totalmente controllata. Alla domanda su chi erano i rapitori, loro hanno parlato di Boko Haram. Più probabile è che si tratti di qualche banda in collegamento con il gruppo, che effettua spesso incursioni nel vicino Cameroun, nella zona dove, nella notte tra il 4 e il 5 aprile, i fidei donum vicentini e la religiosa canadese erano stati rapiti. Suor Gilberte, in una mail prima del rapimento, aveva detto che era in corso una lotta fra bande rivali. Anche il vescovo Pizziol ha fatto riferimento a bande che si avvalgono dei rapimenti per reperire soldi. Non per acquistare armi – secondo Philippe Stevens, vescovo emerito di Maroua, la diocesi di riferimento dei preti vicentini in Cameroun -, bensì per reclutare giovani miliziani.
© 2014 Romina Gobbo
pubblicato su Avvenire – giovedì 5 giugno 2014