«La guerra, una follia. Sempre»

Un grido di dolore quello che papa Francesco ha lanciato, sabato scorso, a Redipuglia, ai piedi di quel sacrario militare che custodisce i corpi di 100mila soldati italiani, per lo più ignoti. E non poteva essere che così. Celebrare in occasione del centenario dell’inizio della Prima Guerra Mondiale, in un luogo che fa memoria della guerra per invocarne forte la follia. E per rilanciare la necessità della pace.

Il momento della Comunione (foto di Romina Gobbo)

Il momento della Comunione (foto di Romina Gobbo)

Il Santo Padre è venuto pellegrino per pregare per i caduti di tutte le guerre. «Qui ci sono tante vittime. Oggi noi le ricordiamo. Tutte queste persone, i cui resti riposano qui, avevano i loro progetti, i loro sogni…, ma le lor vite sono state spezzate. L’umanità ha detto: “A me che importa?”. Così papa Francesco, citando “la risposta di Caino” nell’omelia della messa concelebrata con una cinquantina fra cardinali (tra loro, il segretario di Stato, Pietro Parolin), vescovi e centinaia di sacerdoti, provenienti da tutti i Paesi in guerra nel 1915-18.

«A chi interessa?» Ripete più volte il Papa “venuto da lontano”, ma che tutti sentono particolarmente vicino. E non si può non pensare all’indifferenza con cui oggi giorno assistiamo ai massacri più efferati, all’ennesima tragedia del mare; morti che non sono altro che statistiche. 800 negli ultimi giorni… Il Mediterraneo, cimitero per più di 23mila persone in 14 anni. Un’acatombe». Eppure, uno sguardo, un pensiero breve, e poi la vita riprende come prima. Nulla più smuove davvero le coscienze. La spettacolarizzazione del dolore porta all’assuefazione. Tanto da non rendersi conto che oggi, «dopo il secondo fallimento di un’altra guerra mondiale, forse si può parlare di una terza guerra combattuta “a pezzi”, con crimini, massacri, distruzioni…».

Parole dure e precise quelle di Bergoglio, che non lasciano spazio a fraintendimenti. «La guerra distrugge. Distrugge anche ciò che Dio ha creato di più bello: l’essere umano. Non guarda in faccia a nessuno: vecchi, bambini, mamme, papà… La guerra stravolge tutto, anche il legame tra fratelli. La guerra è folle, il suo piano di sviluppo è la distruzione: volersi sviluppare mediante la distruzione!».

In prima fila, come voluto da papa Bergoglio, le persone disabili (foto di Romina Gobbo)

In prima fila, come voluto da papa Bergoglio, le persone disabili (foto di Romina Gobbo)

Ma è un uomo affaticato quello che compare dietro l’altare nella sorpresa generale, mentre tutto l’apaprato militare lo attende dalla parte opposta. Qualcuno grida: «È già lì», tutti si voltano. davanti all’altare, una fila di carrozzine: sono i disabili, che il Pontefice vuole in prima fila. fFacile, per chi ha gambe e braccia funzionanti, pensare: la loro vita, un calvario! E lì la fede fa davvero la differenza. Assistendo alla celebrazione in mezzo a loro, ci si accorge di quanto papa Francesco riesca a rasserenarli, faccia loro del bene. «Viva il Papa, viva il Papa». Sono incontenibili nella gioia. Ed è una gioia che contagia. Un’emozione indescrivibile.

Ai lati dell’altare, siedono, da una parte, le autorità civili e militari e, dall’altra, i rappresentanti delle religioni altre. Che sempre il Papa invita, perché la tanto agognata pace ha bisogno anche di loro, necessita del dialogo delle menti e dei cuori.

Scende la pioggia. Continua, insistente, fredda. Scende sui vivi in trepidante attesa delle parole del Pontefice e sui nomi dei caduti, impressi a perenne ricordo sui gradini del santuario. “Presente!”. Un mare di ombrelli rende difficili le riprese, i fotografi impazziscono. Ma, quando il Santo Padre inizia a parlare, il tempo si rischiara. Via gli ombrelli. Che luce sia! Una luce di cui questo mondo necessita. Così l’omelia è anche denuncia, in perfetto “Bergoglio style”. Punta il dito contro i “pianificatori del terrore, questi organizzatori dello scontro, come pure gli imprenditori delle armi», gli «affaristi della guerra». Tutti coloro che «hanno scritto nel cuore: ‘A me che importa?’ Come è possibile questo? È possibile perché anche oggi dietro le quinte ci sono interessi, piani geopolitici, avidità di denaro e di potere, e c’è l’industria delle armi, che sembra essere tanto importante! Con quel ‘A me che importa?’, che hanno nel cuore gli affaristi della guerra, forse guadagnano tanto, ma il loro cuore corrotto ha perso la capacità di piangere». Cala il silenzio. Lungo. poi, il rito: all’Offertorio viene portato un cappello dei bersaglieri, a ricordo del maggiore Giuseppe La Rosa, del terzo Bersaglieri, l’ultimo italiano caduto in Afghanistan nel 2013.

La memoria va custodita, ma va anche “purificata”. Per papa Francesco è venuto il tempo di andare oltre l’odio di Caino. «Con cuore di figlio, di fratello, di padre, chiedo a tutti voi e per tutti noi la conversione del cuore: passare da quel ‘A me che importa?’, al pianto. Per tutti i caduti della “inutile strage”, per tutte le vittime della follia della guerra, in ogni tempo. L’umanità ha bisogno di piangere, e questa è l’ora del pianto».

Le crocerossine di Vicenza (foto di Romina Gobbo)

Le crocerossine di Vicenza (foto di Romina Gobbo)

© 2014  Testo e foto di Romina Gobbo

pubblicato su La Voce dei Berici – 21 settembre 2014

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