Non si ferma la Diocesi di Vicenza, seppure provata dal massacro di suor Olga Raschietti in Burundi lo scorso 7 settembre e dal rapimento in primavera in Cameroun di don Giampaolo Marta e don Gianantonio Allegri. Nella veglia missionaria dell’11 ottobre, infatti, ci sarà il saluto a don Francesco Cunial e don Enrico Lovato, in partenza, rispettivamente, per la Thailandia e per il Brasile. Diventano, così, dieci i missionari vicentini sparsi in tre continenti: Africa, America Latina e Asia. A questi fidei donum si sommano religiosi e volontari laici, per un totale di oltre 800 “uomini della solidarietà”.
La missione nell’Estremo nord del Cameroun è, per motivi di sicurezza, in “stand by”. Conosce bene quel territorio don Francesco Cunial, 48 anni, originario di Vicenza, prete dal ’91, a breve in partenza per la Thailandia, diocesi di Chiang Mai (circa 35mila cattolici su una popolazione di 5 milioni di abitanti. Alle sue spalle c’è proprio un’esperienza di sette anni – dal 1998 al 2005 – nella parrocchia di Tchéré-Tchakidjebe, dove la scorsa primavera don Giampaolo Marta e don Gianantonio Allegri sono stati rapiti. «Sto per affrontare un’esperienza diversa dalla precedente, perché in Thailandia la percentuale di cattolici è molto bassa (lo 0,75%; il 4% sono musulmani; il 95% buddisti), ma l’umano ha delle affinità – sottolinea don Cunial -. Bisogna fare un lavoro di presenza, di dialogo, con il buddismo in particolare, ma anche di accompagnamento, di annuncio alle comunità che si aprono al cristianesimo. Don Pietro Melotto, in Thailandia dal 1997, rientra, e io vado a continuare la sua opera, per fare in modo che non si interrompa questa presenza della Chiesa vicentina, che è inserita nell’ambito di missione triveneta».
Si aspettava di ripartire dopo nove anni da parroco in diocesi?
«Quando sono rientrato, pensavo di aver chiuso con la missione extra-territoriale. Ma qualche anno dopo si è riaccesa in me la fiamma della disponibilità al servizio fidei donum, e ne ho fatto partecipe il vescovo, monsignor Beniamino Pizziol».
Sa già di che cosa esattamente andrà ad occuparsi?
«C’è l’aspetto più prettamente pastorale: annuncio e promozione umana, e c’è anche l’attenzione a tutto il mondo – che è vastissimo – di persone che vivono un’altra religione».
Sarà la prima volta in Thailandia?
«No, ci sono andato lo scorso luglio assieme al vescovo. Ho potuto constatare che c’è disponibilità al dialogo, all’incontro, è un’occasione per far conoscere il cristianesimo senza aspettative di conversione, di risultati. E’ una realtà molto interessante dal punto di vista religioso e culturale. senz’altro complessa. Un mondo da scoprire».
Qualche timore?
«Non direi. Certo, anche la Thailandia sta vivendo un travaglio, l’Asia in generale. Le disuguaglianze portano a questo. Giustamente c’è chi reclama diritti che vengono negati o soffocati. E si sa che quando ci sono l’ingiustizia, la fame, l’ignoranza, uno può prendere la religione come arma, ma la base culturale non è aggressiva e il buddismo promuove la tolleranza».
«COSI’ IL VANGELO CI PORTA ALLE PERIFERIE»
Prima volta in terra di missione per don Enrico Lovato. Ordinato prete 12 anni fa, è arrivato anche per lui il momento di andare a reggere una parrocchia extra-territoriale. Destinazione: Brasile (il Paese dove, nel 1966, la Diocesi di Vicenza aprì la sua missione, ad Afogados da Ingazeira), nella diocesi di Roraima (circa 450mila abitanti, di cui circa 50mila indigeni, suddivisi in nove etnie, con lingue e culture differenti), estrema periferia della città di Boa Vista.
Come si sta preparando a questa nuova esperienza?
«Per poter entrare in empatia con le persone che incontrerò, sto studiando il portoghese e frequento un corso sulla cultura brasiliana, cercando di approfondire con la ricerca personale i tanti input che ci vengono dati. Noi andiamo lì con la nostra esperienza, ma dobbiamo soprattutto imparare da loro. Nessuno è così ricco da non avere niente da ricevere. Sto scoprendo questo atteggiamento del mettermi in ascolto, dell’imparare. E’ l’atteggiamento cristiano della conversione, di lasciarsi cambiare dalla storia, dalla vita, dalla parola di Dio».
E’ una scelta fatta per obbedienza o viene da un desiderio personale?
«Sentivo questo desiderio di conoscere realtà nuove, e intanto papa Francesco parlava di una Chiesa che si apre, che va alle periferie. Il nostro vescovo Pizziol ha chiesto a tutti i preti una disponibilità per poter tenere aperte queste nostre missioni. E io ho colto al volo questa opportunità. D’altra parte, ho l’età giusta, 45 anni, questo è il momento opportuno, la salute è buona, più si aspetta, più si fa fatica».
Che cosa si aspetta di trovare?
«Una Chiesa già ben strutturata, con la sua storia, una sua teologia, con delle linee portanti. Insomma, una Chiesa che ha già un suo stile ben definito».
In particolare, quale sarà il suo compito?
«Si tratterà di seguire le comunità sparse sul territorio, che è parecchio vasto, andarle a visitare, fare catechesi, tenere viva la formazione dei laici. I preti sono pochi, le comunità sono animate da laici, catechisti, responsabili di comunità, che portano avanti il cammino di fede sul territorio».
Poi c’è la realtà degli indios dell’Amazzonia.
«Infatti. E lì c’è il confronto con una cultura diversa, con forme di religiosità naturali; gli indios fanno fatica a rapportarsi con la nostra cultura, importata dai missionari, che non era la loro. La missione ci rivela luci e ombre della nostra colonizzazione, questa per me è una finestra che si è aperta, vedere, per esempio, i molti aspetti della missione, come sono cambiati nel tempo, come oggi sono più rispettosi delle diversità culturali, religiose. Sono segni della presenza di Dio, che c’erano anche prima di noi».
Quali obiettivi guideranno il suo cammino?
«Scoprire un mondo nuovo, scoprire come il Signore cammina con la gente, anche con chi è diverso da noi. Anch’io porterò qualcosa della mia Chiesa, ma ho tanto da imparare da loro, l’accoglienza, la solidarietà, l’apertura al prossimo, valori che magari noi abbiamo un po’ perso».
© 2014 Romina Gobbo
pubblicato su Avvenire – domenica 5 ottobre 2014