Il Pontificato di papa Francesco – Analisi a 360°

“La crisi mediorientale e le guerre in corso nell’area, sono tra le cose che più preoccupano papa Francesco. In Medio Oriente il cristianesimo rischia di sparire. E questo non rappresenta una tragedia solo per i cristiani, oggi condotti sulla soglia del martirio, ma anche per la deriva estremistica, di pura violenza e, alla fine, atea, dell’Islam. Perché la celebrazione della violenza comporta la negazione di Dio. E’ a partire da queste situazioni che nel viaggio di ritorno dalla Corea, il Santo Padre ha provocatoriamente parlato di una ‘Terza Guerra mondiale a pezzi’, che è già in atto”.

Così Gianfranco Brunelli, direttore della rivista “Il Regno”, edita dal Centro Editoriale Dehoniano di Bologna, intervenuto lunedì 27 ottobre al centro diocesano “A. Onisto” di Vicenza, alla Scuola del lunedì, momento formativo per i preti.

Ulteriore dimostrazione dell’interesse del Santo Padre per il Medio Oriente è anche il prossimo viaggio apostolico in Turchia, il 28 e 29 novembre 2014. “Una visita in un certo senso necessaria – spiega Brunelli -, già sperimentata dagli ultimi pontefici, sia su un piano religioso ed ecumenico, sia su un piano diplomatico. Non sfugge il significato ecumenico. Francesco incontrerà il patriarca ecumenico e credo che ripeterà le parole di Paolo VI quando incontrò Atenagora a Gerusalemme: “Come possiamo continuare a camminare insieme?” L’ecumenismo, forse uscito dai riflettori dell’opinione pubblica non è oggi meno necessario. Il confronto col mondo ortodosso interessa una vasta area geopolitica e la ricerca dell’unità continua ad essere la misura della credibilità della nostra testimonianza cristiana. Poi c’è il tema del ruolo della Turchia, area cerniera tra molte crisi, esperimento, sin qui non ancora compiuto, di possibile convivenza tra diverse religioni e tradizioni. Diplomazia e dialogo interreligioso finiscono quasi per essere in un momento così drammatico la stessa cosa”.

Al Medioriente è stata dedicata una parte significativa del recente concistoro, celebrato a Roma a conclusione del Sinodo sulla famiglia. Sia la relazione del Segretario di Stato, Pietro Parolin, che il discorso del Papa hanno fotografato una situazione inedita anche per quell’area così martoriata. “Secondo il Pontefice – riprende Brunelli – ci si trova davanti ad un ‘fenomeno di terrorismo di dimensioni inimmaginabili’, nel quale sembra che ‘si sia persa la consapevolezza del valore della vita umana’ e che ‘la persona non conti e si possa sacrificare ad altri interessi’. Per questo il Papa ha chiesto ‘un’adeguata risposta’ da parte della comunità internazionale, ribadendo la ‘volontà di favorire la risoluzione dei conflitti attraverso il dialogo, la riconciliazione e l’impegno politico’. “Non possiamo rassegnarci – ha concluso il Papa – a pensare al Medio Oriente senza i cristiani, che da duemila anni vi confessano il nome di Gesù'”.

Qualche giorno prima di partire per la Turchia il Santo Padre si recherà a Strasburgo, al Parlamento europeo, rappresenterebbe una tappa significativa del suo Pontificato, anche in vista di un solido coinvolgimento dell’Unione nelle gravi crisi mediorientali. Così non è. Ma il Papa non rinuncerà a parlare all’Europa (e sarà la prima), alle sue molte responsabilità, che sono poi la premessa e l’esito della sua identità culturale, politica e di civiltà”.

E di questioni identitarie questo Papa “se ne intende”, in quanto proveniente da una nazione – l’Argentina – che, a causa delle grandi immigrazioni, ha faticato a riconoscersi come Paese con una propria identità. “La vera novità di papa Francesco è la sua grande capacità mediatica, di linguaggio. Un tratto nuovo perché il Bergoglio arcivescovo di Buenos Aires non era così, anzi, era molto riservato, protagonista come presule, ma schivo per quanto attiene alla comunicazione. Da Papa, invece, l’effetto mediatico è dirompente. Dovuto all’uso di un linguaggio semplice, alla portata di tutti, con qualche calco linguistico che gli deriva dalla sua lingua madre, lo spagnolo di Buenos Aires. E poi i gesti simbolici: dorme a Santa Marta, rifugge da abiti sontuosi, vorrebbe uscire da solo. Tanto che risulta credibile come uomo prima ancora che come vescovo e come papa”.

Sostanzialmente, ha riportato “in auge” il Vangelo. “Certo. La sua convinzione è che la Chiesa deve tornare a riprendersi il linguaggio del Vangelo. Questo deriva dalla sua umanità, che è un’umanità carica di Cristo. Il suo è uno stile prima ancora di essere un contenuto dogmatico. Uno stile sperimentato nelle favelas argentine: lì ha incontrato tutte le situazioni drammatiche della povera umanità. Situazioni limite, dove è difficile con il manuale di teologia in mano, distinguere ciò che è bene da ciò che è male.

Che Cristo sia al centro della nostra umanità lo evidenziano proprio quei volti, quelle storie, quelle sofferenze. Non dimentichiamo che l’86% della popolazione argentina vive nelle megalopoli. Questa esperienza rende papa Francesco un pastore sensibile. Ecco che prende senso “quel venire dalla fine del mondo”, che disse appena dopo l’elezione al soglio papale. Insomma, un Bergoglio che impara a fare il papa, ma anche mantiene la sua spiritualità profonda”.

Conservatore o progressista?

“Un papa distaccato da ogni ideologia. Lo era da arcivescovo di Buenos Aires, lo è adesso da papa. Francesco ritiene che l’ideologia corroda il cristianesimo, e anche questo viene da un’esperienza personale, perché la Chiesa argentina ha molto patito l’ideologia”.

A mio avviso un papa politico, ma nell’accezione più alta, mi fa pensare un po’ alla polis greca. “Una riflessione sensata. Per papa Francesco la politica è l’allargamento dell’inclusione al popolo, un processo di accoglimento di tutti. Mandare alle comunità diocesane il testo del Sinodo per la famiglia affinché ne dibattano, va in questo senso”.

E la scelta del nome?

“Quando il cardinale Tauran, annunciando l’elezione di Bergoglio, ha detto che si sarebbe chiamato Francesco, quel nome mi ha spaventato. Mi sono chiesto: è possibile che Francesco possa sedere al posto di Innocenzo III (promosse la quarta crociata con l’intento di ricomporre lo scisma d’Oriente del 1054, ma anche riconobbe l’ordine francescano), o Onorio III (promotore della quinta crociata, ma anche colui che diede l’approvazione pontificia alla regola di san Francesco)? Io credo che proprio questo sia il sogno di papa Francesco.

 

© 2014     Romina Gobbo

pubblicato su La Voce dei Berici – domenica 2 novembre 2014

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