Dopo il saluto di Paola Boron, presidente della Fidapa, la giornalista Romina Gobbo, sabato 23 aprile 2016, ha relazionato sull’Islam davanti ad una affollata sala convegni di Lonigo (Vicenza). E’ partita dalla vita di Muhammad (a noi più noto nella traduzione italiana come Maometto), profeta dell’Islam, per parlare, poi, della donna, a cominciare dalla sua prima moglie, Khadija, che divenne la prima credente nell’Islam e incoraggiò il marito nella sua predicazione.
LE TIPOLOGIE DELLE RAGAZZE MUSULMANE
Ma per parlare delle studentesse musulmane in Italia, bisogna innanzitutto fare dei chiarimenti: si tratta di ragazze che, figlie di genitori immigrati, sono nate qui, o sono arrivate qui piccolissime, quindi sono innanzitutto italiane (siamo ormai alle terze generazioni). Ci sono, poi, le autoctone italiane, che si sono convertite all’Islam. Queste sono le tipologie delle ragazze musulmane, cresciute in Italia; poiché hanno un retaggio culturale diverso, che molto spesso è più caro ai genitori che non a loro, che si sentono più “occidentali” che marocchine, siriane, o tunisine…, allora vale la pena di cercare di conoscere queste culture. Da qui l’obiettivo del lavoro di Romina Gobbo.
“Anche il Corano, come la Bibbia – ha spiegato la relatrice – ha bisogno di essere constestualizzato nell’epoca in cui venne scritto, il 1° sec. d. C. Il velo non è una costrizione dell’Islam, era presente già in epoca pre-islamica, c’era nel mondo bizantino come in Asia. L’iconografia della Madonna e delle sante da sempre riporta il velo, ma anche nel mondo classico le donne avevano il capo coperto. Chi andava a capo scoperto erano le schiave e le prostitute”. Certo, non si può negare che nei Paesi islamici ci siano delle rigidità, che ci siano diritti non garantiti, che la donna sia sottomessa, ma tutto questo non ha nulla a che vedere con il Corano, ha invece a che vedere con società patriarcali. L’Afghanistan ne è senz’altro l’esempio più eclatante. E le donne stanno facendo un cammino di rivendicazione dei propri diritti? Sì, ci sono dei movimenti femministi che rivendicano di tornare al Corano, perché là loro trovano la loro emancipazione, consapevoli che le regole discriminatorie sono il risultato di società maschiliste.
MALALA YOUSAFZAI
Un bellissimo esempio di ragazza che “combatte” è la pakistana Malala Yousafzai (oggi 19 anni), che a sedici anni, nel 2014, ha ricevuto il premio Nobel per la Pace per il suo impegno nell’affermazione dei diritti civili e per il diritto all’istruzione delle donne, proibita da un editto dei talebani. Impegno che portava avanti attraverso un blog, e che ha pagato caro, in quanto un commando (poi è arrivata la rivendicazione dei talebani) le ha sparato in testa. Per fortuna, è sopravvissuta, ed è stata invitata a tenere un discorso all’Onu, dove ha lanciato un appello per l’educazione universale”.
“Il messaggio che deve passare – ha concluso Romina – è che serve la reciproca conoscenza, servono momenti di dialogo, di incontro, bere un tè assieme, andare in visita ad un Centro islamico. La diffidenza non aiuta a costruire la società del futuro, ma ad alimentare le paure. Siamo davvero sicuri che non ci sia un “grande fratello” che preferisce un popolo diviso? Che lo si voglia o no, la nostra è già una società pluralista, dal punto di vista religioso e culturale, e in questa società i nostri figli e nipoti dovranno crescere”.
2016 Giampietro Corona – Basso Vicentino – maggio 2016