Nella notte è morto, a 93 anni, Shimon Peres, uno dei politici più significativi della storia di Israele. Ne era stato primo ministro e presidente della Repubblica. Viene ricordato soprattutto per aver contribuito ai negoziati per gli accordi di Oslo, il primo trattato di pace fra israeliani e palestinesi. Per questo suo contributo nel 1994, insieme all’allora primo ministro Yitzhak Rabin e al leader palestinese Yasser Araft, ricevette in Nobel per la pace, che rappresentò il culmine della sua carriera politica. Ne parlo anche nel mio libro Nessuno strumentalizzi Dio, riprendendo la preghiera per la pace in Vaticano con Peres e Abu Mazen invitati da papa Francesco durante il suo pellegrinaggio in Terra Santa del maggio 2014. Il dato rilevante è che Peres ha saputo cambiare il suo cuore. Si devono a lui, infatti, quand’era ministro della difesa (1970), molti degli insediamenti israeliani in Cisgiordania. Dopo c’è stato un cambiamento che lui imputava al presidente egiziano Sadat, al momento del primo trattato di pace arabo-israeliano, nel 1977; il presidente Sadat diceva che non c’è alternativa alla pace, e che bisogna arrivare ad avere «uno stato ebraico chiamato Israele e uno stato arabo chiamato Palestina, che non combattono, ma vivono insieme in amicizia e cooperazione». Dopo, Peres ha sempre cercato la riconciliazione e la pace («fare la guerra non ha senso», diceva), sostenendo la creazione dei due Stati, non risultando per questo molto “simpatico” a Netanyahu. Da questo suo pensiero è nato il Centro Peres per la pace, con sede a Jaffa, che promuove il dialogo fra arabi ed ebrei. La sua frase più nota resta: «Per sopravvivere bisogna togliere il deserto dalle terre, il sale dal mare e la violenza dagli uomini». Shalom/Salaam.
© 2016 Romina Gobbo – 28 settembre