Conserva come una reliquia un calice con un rimasuglio di aranciata utilizzato da Benedetto XVI, e molte altre chicche. In quel baule ci sono i ricordi di 14 anni di servizio in Vaticano, ma anche in molte Ambasciate che con il Vaticano sono in contatto e in vari palazzi romani. Sergio Dussin, bassanese, apprendista nel ’72, poi chef affermato e oggi titolare di tre ristoranti – “Al Pioppeto” e “Dalla Mena” di Romano d’Ezzelino (Vi), e “Villa Razzolini Loredan” di Asolo (Tv) – dal 2002, dopo una cena organizzata in occasione della Festa nazionale delle Guardie Svizzere, è il “cuoco dei papi”». Lo vedi aggirarsi sicuro per la Cappella Sistina, l’Aula Paolo VI, la Casina Pio IV, Casa Santa Marta…, augurando «pace e bene». Vi ha organizzato cene private, incontri diplomatici ed interreligiosi, convegni, serate di gala, eventi ad altissimo livello, come il 50° anniversario del Concilio Vaticano II e la preghiera per la pace dell’8 giugno 2014, a cui hanno partecipato Shimon Peres, Abu Mazen e il patriarca ecumenico Bartolomeo I.
Qual è il segreto per piacere ai papi? «Porsi con umiltà massima. Porto sempre con me alcuni miei collaboratori – una quarantina, oltre ai miei figli, i miei fratelli Renato e Mario, mia cognata Marisa e mio nipote Matteo -, alternandoli di volta in volta, in modo che tutti possano provare l’emozione di servire il Papa. Raccomando loro semplicità negli atteggiamenti. Spesso mi faccio aiutare anche da ragazzi delle scuole alberghiere. Perché penso che solo riuscendo ad appassionare i giovani, la ristorazione potrà avere un futuro».
Sergio è cattolico praticante, come la moglie Manuela e i figli Marco, Elena e Monica. Uno dei momenti più toccanti è stato per lui lo scorso 30 maggio, quando ha potuto festeggiare il compleanno con la famiglia durante la messa a Santa Marta. «Poter entrare in questa atmosfera semplice e familiare, con papa Francesco che celebra come un normale sacerdote, è un grande privilegio».

Benedetto XVI con Dussin e la squadra dei suoi collaboratori
Sergio, andiamo con ordine: Giovanni Paolo II. «Lo servii quando già non stava bene. Lo incontrai e salutandolo gli dissi: “Santità, auguri per la sua salute”. E lui mi rispose: “E io prego per la tua”. Un uomo il cui modo di comunicare ha sconvolto il mondo». Che cosa amava mangiare? «Era una persona molto semplice, amava le verdure e apprezzava l’asparago di Bassano. Quando cucino a Roma, preparo sempre piatti con i prodotti della mia terra: dal sedano di Rubbio all’olio di Pove, fino alla farina di Maranello». Papa Benedetto? «È una persona squisita, dalla mente lucidissima, anche se gli anni sono tanti. Con le dimissioni ha dato prova di grande valore. Purtroppo, non è stato capito nella sua altissima riflessione teologica. Lo ammiro molto per come sta accanto a papa Francesco, sempre in silenzio, a disposizione, mai un’indiscrezione. Ancora adesso gli porto da mangiare e mi emoziono». Che cosa mangia? «Tortelli con ricotta e spinaci, scaloppa con il radicchio di Treviso, flan di zucchine con crema allo zafferano e la torta Sacher. Non beve vino a tavola, solo spremuta d’arancio, niente carni rosse e, nelle occasioni importanti, brinda con il Moscato».
E Francesco? «È partito alla grande. Dopo un papa “teologico”, ne è arrivato uno che si fa i selfie con la gente, è normale che per lui ci siano bagni di folla». Che cosa gli serviamo? «Qui gioco facile. Mangia di tutto. Mi è capitato di portargli anche la pizza. Non ama le cene di gala. A Santa Marta si serve da solo dal buffet».

Sergio con un ragazzo non vedente che gli chiede sempre di essere servito da lui
Come funziona l’etichetta vaticana? «Il Papa naturalmente va servito sempre per primo. Dopo di lui, se ci sono autorità di pari grado tra di loro, bisogna servirle assieme. Per il resto, bastano tanto rispetto – pranzi e cene cominciano sempre con un momento di preghiera, quindi non si deve disturbare con rumore di piatti o posate – e molta creatività. Il venerdì non servo mai carne, solo pesce. Poi naturalmente, ci sono le regole legate alle diverse tradizioni religiose. Gli ebrei mangiano solo cibo kosher, se ci sono musulmani, ovviamente nessuna pietanza viene preparata con l’aggiunta di vino. Cinquanta minuti per i pranzi e le cene, un quarto d’ora per i coffee break. E poi niente sprechi, perché quello che viene avanzato va alle vicine suore di Madre Teresa». Una grande sfida è stata il 25esimo anniversario del primo incontro interreligioso voluto da Giovanni Paolo II nel 1986. «Nel menu abbiamo dovuto tener conto della contemporanea presenza a tavola di 390 personalità delle diverse confessioni cristiane: musulmani, ebrei, buddisti, taoisti, shintoisti, hindu, bahai, rappresentanti delle religioni tradizionali di Africa, America e India, di diverse altre nuove religioni non ancora classificate e di quattro intellettuali non credenti».
E quando arriva la stanchezza? «Recito il Padre Nostro, e mi torna la carica. È la forza di quando senti qualcuno vicino, e io sento la presenza di mio padre e dell’uomo sulla croce. Così riesco ad intravvedere sempre una via d’uscita. Il Padre Nostro mi aiuta a costruire un cammino di vita positivo».

Spesso Sergio si fa aiutare dai ragazzi delle scuole alberghiere
© 2016 Romina Gobbo
pubblicato su Credere n. 51 – domenica 18 dicembre 2016 – pag. 20