Nigeria. «Non si può ammazzare nel nome di Dio» – Nigeria. «You can not kill in the name of God» – نيجيريا. لا يمكنك قتل باسم الله

«Non si può ammazzare nel nome di Dio»: lo ribadisce la Conferenza episcopale nigeriana, ma l’hanno detto più volte anche i leader musulmani locali. Eppure, in Nigeria si ammazza eccome (35 morti solo a Natale, e il numero delle vittime cresce ogni giorno) e l’escalation di violenza rischia di mettere le comunità l’una contro l’altra. «Due cose non si devono fare: dividere buoni (i cristiani) e cattivi (i musulmani) e parlare di guerra di religione». Parte da qui padre Giulio Albanese – missionario comboniano, giornalista e già direttore del “New People Media Centre” di Nairobi, e fondatore dell’agenzia Misna -, per spiegare che cosa sta succedendo in Nigeria. Di strumentalizzazioni ne sono state fatte a bizzeffe, ora è tempo di guardare alla verità e la verità è che «l’1 per cento della popolazione detiene oltre il 75 per cento delle risorse. Il 60 per cento della popolazione sopravvive con due dollari al giorno. Una miseria così «diffusa in un Paese che galleggia sul petrolio (il Paese ha riserve petrolifere stimate in 36 miliardi di barili, mentre per il gas si parla di 5.300 miliardi di metri cubi), non è tollerabile. Ed è evidente che i “morti di fame” rappresentano un bel bacino d’utenza per i fondamentalismi di ogni tipo. Per chi ha fame, la tentazione di prendere in mano il machete è forte. Certo, è una questione complessa, che non è mai stata affrontata seriamente».

Le proteste sono servite a far sì che il governo riduca del 30 per cento il prezzo della benzina.

«Sì, è stato necessario, perché il taglio delle sovvenzioni statali, con il conseguente raddoppio del prezzo della benzina, aveva pesantemente colpito la popolazione. Ma è sul sistema che bisogna incidere. Con circa 2,4 milioni di barili al giorno, la Nigeria è il più grande produttore di greggio dell’intera Africa. Ma non è stato fatto nulla da parte dei vari governi che si sono succeduti, sia civili che militari, perché quella ricchezza fosse investita per lo sviluppo del Paese. Il 97 per cento del petrolio è destinato all’estero. I proventi finiscono nelle tasche dei nababbi locali. Il risultato è che le infrastrutture sono carenti e la fornitura energetica è del tutto inadeguata per la domanda interna. E, come se non bastasse, l’85 per cento dei prodotti viene raffinato all’estero e poi reimportato, a causa delle scarse capacità interne di produzione, così il prezzo della benzina schizza. Ed ecco le ragioni degli scioperi dei giorni scorsi».

Al caro-benzina, vanno aggiunte le violenze interreligiose perpetrate dal gruppo integralista Boko Haram, nel nordest del Paese.

«La questione non è di oggi, viene da lontano. Almeno dal 2000 si ripetono le violenze. Il governo centrale di Abuja è debole, soprattutto il capo dello Stato, Goodluck Jonathan, che, in fondo, è un buon uomo, sicuramente il meno corrotto sulla scena politica nazionale. La sua elezione aveva fatto ben sperare, perché rappresentava un volto nuovo, estraneo agli ambienti militari. Invece si è rivelato un debole perché – lo ha detto anche lui stesso – all’interno del palazzo ci sono forze che gli remano contro, e poi ci sono ingerenze straniere. E, d’altra parte, il suo antagonista alle presidenziali, l’ex dittatore Muhammadu Buhari, musulmano del nord, ha promesso di non dargli tregua. In Nigeria, fin da quando è diventata indipendente, sono stati commessi molti errori, l’uno è stato, da parte dell’ex presidente Olusegun Obasanjo, aver permesso che nel nord venisse applicata la shari’a (la legge coranica, in vigore in 12 dei 36 stati confederali). È un sistema giurisprudenziale che non sta né in cielo, né in terra. La Nigeria è una Repubblica federale, che ha sempre difeso a denti stretti la propria costituzione e la laicità delle istituzioni politiche».

Oggi si vocifera che il piano di Boko Haram sia di spaccare il Paese in due per affermare uno Stato islamico. D’altra parte, l’indipendenza del Sud Sudan potrebbe essere considerato un precedente.

«Spaccare in due la nazione sarebbe un atto demenziale, stiamo parlando del Paese più popoloso dell’Africa (155 milioni di persone), la cui popolazione è divisa in 250 gruppi etnici maggiori, praticamente un frullato, ma un frullato che è sempre stato ben amalgamato».

Chi è e che cosa vuole davvero questo gruppo estremista?

«L’espressione “Boko Haram” nella cultura hausa (nord della Nigeria) esprime la negatività (così almeno viene percepita da loro) del sistema educativo degli ex colonizzatori britannici. Letteralmente “boko” vuole dire “falso” e “haram” in arabo significa “peccato”. È una setta potente, nonostante fosse già stata combattuta alla fine degli anni Novanta-inizio 2000, che sta sempre più radicalizzando lo scontro, avendo di mira, non solo i cristiani, ma anche le moschee, il governo centrale, perché il presidente Jonathan è un cristiano, e i simboli del potere. Il progetto politico di questi fanatici è di estendere la shari’a a tutto il Paese. Stando a indiscrezioni, oltre a connivenze con i poteri politici locali corrotti e con l’alta finanza locale, i veri mandanti sarebbero esponenti del salafismo saudita, lo stesso movimento ideologico che ha foraggiato al-Qaeda in giro per il mondo. E sembra anche che esista un collegamento tra i Boko Haram e la cellula magrebina di al-Qaeda. Con l’avvento al potere dei fondamentalisti in Paesi come l’Egitto, a mio avviso il rischio è che il jihadismo contamini la fascia sub-sahariana e Paesi come la Nigeria, finora tolleranti sul piano religioso e sociale, vengano consegnati ai fautori dell’integralismo islamico».

“Let not this fire spread! Non lasciamo che il fuoco si diffonda”: è l’appello di Wole Soyinka, Chinua Achebe e Jp Clark, tre fra i maggiori scrittori nigeriani, che dicono: «Il nostro dovere è di denunciare gli assassini che sono in mezzo a noi, negare loro, sin dalla fonte, il sangue di cui si nutrono, il caos che è la loro ambizione, l’odio che ha avvelenato la loro psiche collettiva. Doabbiamo andare oltre il loro progetto perverso e conservare la nostra umanità». Anche l’alto commissario Onu per i diritti umani, Navi Pillay, ha auspicato che si metta fine alle violenze settarie e ha sottolineato che membri di Boko Haram e altri gruppi «potrebbero essere dichiarati colpevoli di crimini contro l’umanità, se giudicati responsabili di attacchi estesi o sistematici contro la popolazione civile».

Padre Albanese, che cosa si può fare?

«Serve il dialogo, e che l’Unione africana alzi la voce. E poi servono nuove forme di “governance”, che tengano conto della persona umana e non solo dei ricavi derivanti dallo sfruttamento del bacino petrolifero. Finché i soldi resteranno nelle mani di pochi, le masse impoverite saranno terreno fertile per chi vuole dividere».

© 2017 Romina Gobbo 
pubblicato su La Voce dei Berici – domenica 22 gennaio 2012

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