Festeggiano quest’anno il ventesimo di fondazione i Centri pastorali della diocesi di Vicenza. Sono sorti nel 1997 per accompagnare nella fede la prima immigrazione, arrivata per lo più a seguito dei ricongiungimenti familiari nel ricco Nordest, che allora chiamava manodopera dall’estero. Ma i tempi sono cambiati. La crisi ha fatto decidere a molte famiglie di immigrati di tornare a casa. E se all’inizio arrivavano soprattutto cattolici, oggi ci sono protestanti e musulmani, e sono per lo più rifugiati, per i quali è prioritario il diritto d’asilo. Quindi con le nuove migrazioni il ricambio non avviene. Per questo l’evento che si sta pensando per l’autunno vuole essere soprattutto un momento di riflessione. «L’esperienza dei Centri pastorali deve continuare – dice padre Michele De Salvia, responsabile Ufficio Migrantes della Diocesi e del Centro pastorale di Bassano all’Istituto Scalabrini –, ma bisogna evitare che diventino comunità parallele alle parrocchie».
E se i migranti invece di avere propri centri frequentassero le parrocchie? «È una domanda che anche noi ci poniamo. Ma la realtà è che il migrante fatica ad andare in parrocchia perché non si sente accolto. D’altra parte, stringere la mano ad una persona di colore o, comunque, straniera, non è ancora un gesto usuale per tutti. Per questo, per favorire il confronto costruttivo e lo scambio reciproco, nell’evento di ottobre coinvolgeremo entrambe le parti».
In diocesi i Centri pastorali sono: 7 a Vicenza (nigeriani, ghanesi, filippini, latinoamericani, rumeni, ucraini, srilankesi), 3 a Bassano del Grappa (filippini, ghanesi e nigeriani, ucraini, latinoamericani), 2 a Valdagno (ghanesi e ucraini), 2 a Schio (ghanesi e nigeriani, rumeni), 1 a Costo di Arzignano (ghanesi), 1 a Creazzo (africani francofoni), 1 a Villanova (ghanesi e nigeriani), 1 a Chiampo (ucraini).
«Ad Araceli, in Vicenza, la comunità è composta soprattutto da famiglie – spiega il responsabile padre Paulino Bumanglag, religioso verbita, che è anche coordinatore nazionale della pastorale degli immigrati filippini in Italia -. Oltre alla messa della domenica, festeggiamo tutti assieme qualsiasi ricorrenza, matrimoni, battesimi, compleanni. La fede è ancora forte, anche se la sfida del materialismo interpella anche noi. Guardiamo con attenzione ai giovani, perché il loro mondo è molto complesso, sia dal punto di vista culturale, che della maturazione e formazione della fede».
Don Martin Obeng Gyan è responsabile della comunità di Costo di Arzignano. «Una comunità vivace; organizziamo spesso ritiri nei momenti forti dell’anno. Cerchiamo di vivere al meglio il senso della famiglia, ma qui è più difficile rispetto al nostro Paese di origine. In Africa la famiglia viene prima di tutto, mentre qui la conciliazione con i tempi del lavoro complica le cose. L’altra grande questione riguarda le giovani generazioni, alle prese con i problemi di identità. Nati qui ma figli di immigrati, non sempre riescono a tenere insieme le due appartenenze».
© 2017 Romina Gobbo
pubblicato su Avvenire – Catholica – 31 marzo 2017