A “prendere ossigeno” prima della partenza, sono arrivati anche Giuseppe, 36 anni, insegnante di religione, la moglie Rachele, 39, psicoterapeuta, e i loro quattro figli, Daniele (9 anni), Michele (7), Francesca (2) e Geremia (5 mesi). A breve lasceranno Senigallia, dove vivono, per trasferirsi per tre anni in Patagonia, nel sud dell’Argentina, a Puerto Madryn, provincia di Chubut, diocesi di Comodoro Rivadavia (arcidiocesi Bahía Blanca), a sostegno dell’attività di un’altra coppia italiana (Nadia e Riccardo), che ha avviato una comunità terapeutica. Si occuperanno di carcerati, senza tetto, pastorale per le coppie, ma soprattutto saranno di supporto agli 80 preti che devono seguire una diocesi grande quanto l’Italia, e dove nuove sette che promettono il paradiso sorgono come funghi.
Una scelta così con quattro figli piccoli non è da tutti. «Naturalmente c’è stato un discernimento e anche una condivisione», spiega Riccardo. «Con i due figli più grandi, ne abbiamo parlato, e abbiamo trovato un bello slancio da parte loro all’idea di andare ad aiutare amici più poveri. E in Grecia abbiamo incontrato un’altra famiglia con quattro figli come noi, che ci ha incoraggiato».
– Che cosa vi spinge ad andare?
«Io e mia moglie ci interrogavamo da tempo sul fatto che nella vita quotidiana troppe cose prendono il posto di Dio, quando abbiamo sentito la sua chiamata sempre più forte che ci chiedeva di lasciare le nostre certezze, per dare più spazio a lui, per entrare in una relazione più autentica. Ci siamo anche accorti che la nostra felicità era legata al possesso, alle cose materiali, ma non è una felicità vera, mentre, come insegnava don Benzi, si è veramente felici quando si sta vicini alle persone fragili. Cerchi di fare qualcosa per loro, ma in realtà ne benefici tu, è un dono grande e ti restituisce felicità».
– Per “costruire un pezzetto del regno dei cieli”, servono persone coraggiose?
«In realtà, io non lo sono per niente, ed è per questo che posso solo dire un grande grazie al Padre, da lui viene il coraggio. Io non sono un insegnante in ruolo, sono un precario, pertanto quando torneremo, dovrò ricominciare con la trafila delle graduatorie, ma sono tranquillo, perché più forte di tutto è la gioia di sapere che partiamo per fare la volontà di Dio».
© 2017 Romina Gobbo
pubblicato su famigliacristiana.it – martedì 30 maggio 2017