Passione per la musica, manualità, conoscenze ingegneristiche e meccaniche, di tecnica pianistica, pazienza e laboriosità. Da questo mix è scaturito il “Grand Prix 333”, ovvero il pianoforte dei record: 730 chili di peso, corde allungate di 50 centimetri (quattro per ciascuna nota), 3,33 metri di lunghezza, ovvero quasi 60 centimetri in più rispetto ai gran coda tradizionali, 15mila pezzi, disegnati, pensati e assemblati manualmente, un costo che si aggira sui 330mila euro. L’artefice è Luigi Borgato, padovano, classe 1963, uno degli ultimi maestri artigiani a costruire a mano pianoforti da concerto. A Padova, a Palazzo della Ragione, ieri sera è stato inaugurato il nuovo strumento, che riporta sul telaio in ghisa un omaggio a Bartolomeo Cristofori, l’inventore del pianoforte (attorno agli anni venti del Settecento), che proprio nella Città del Santo ha i suoi natali. La serata, promossa dall’assessorato alla Cultura del Comune, è stata presentata da Giovanni Viafora; Borgato ha spiegato i segreti della realizzazione della sua opera e il critico e filosofo musicale Quirino Principe ha condotto la platea in un viaggio nella storia e nel mito del pianoforte. Quindi il giovane Giovanni Bertolazzi, una delle migliori promesse italiane del settore pianistico, ha dato voce al nuovo strumento, eseguendo musiche di Chopin, Rachmaninov e Liszt.

A Padova il “Grand Prix 333” è arrivato direttamente dall’atelier che Borgato gestisce con la moglie Paola a Sossano (in provincia di Vicenza). Nel laboratorio, dove a farla da padroni sono scalpelli, cacciaviti, martelli e punteruoli, è impregnato l’odore dei legni, una decina quelli impiegati: il palissandro per il rivestimento interno; l’acero per i ponticelli; il faggio come cuscino della meccanica; il carpino per le leve; l’ebano per i tasti neri, l’abete armonico, il più adatto per caratteristiche di peso specifico e velocità di suono, che fa “vibrare” lo strumento, e che proviene dai boschi di Passau, la terra del papa emerito Benedetto XVI. «Mi ero accorto che nei concerti, dove l’orchestra è potente, costituita magari da una novantina di strumenti, il pianoforte rischia di sparire – spiega il costruttore -. Da qui l’idea di ingrandirlo per potenziarlo, per ottenere un suono più ricco, un volume maggiore, ma soprattutto una qualità migliore. Ci sono voluti oltre dieci anni di ricerche e studio, perché quando sposti un equilibrio, saltano tutti i parametri, perciò devi ricalcolare e modificare, e non è facile». Autodidatta, Borgato racconta di aver iniziato perché, non potendo permettersi di comprare un pianoforte, decise di costruirselo. Nel ’91, a 28 anni, presenta la sua prima creazione: «era dal 1880 che il pianoforte non subiva innovazioni»; nel 2000, nasce il “doppio Borgato”, un pianoforte doppio con pedaliera. Si tratta di autentici gioielli, ricercati dai più grandi interpreti, da Vladimir Ashkenazy a Radu Lupu. Una sola amarezza: «Sono rimasto l’unico a fare questo mestiere e non vedo giovani interessati. Noi italiani siamo i migliori realizzatori del bello, ma non siamo in grado di tramandarlo».

Luigi Borgato con la moglie Paola
© 2017 Romina Gobbo
pubblicato su Avvenire – sabato 30 settembre 2017 – Agorà Spettacoli – pag. 23