Giovanni Paolo Ramonda. I fragili hanno fatto fiorire la mia vita

Simone è un bambino cerebroleso gravissimo, non parla, non vede, non cammina. Ma è un bambino molto amato e ricambia l’amore di mamma e papà. Frequenta la materna, le elementari, poi purtroppo il suo cuore smette di battere. Ma il suo ricordo è indelebile e la sua vita, anche se breve, ha illuminato le persone che lo hanno conosciuto. «I suoi compagni di classe si volevano più bene. La maestra era più serena. Le persone fragili sono costruttrici di umanità. Quando in una famiglia c’è qualcuno che ha delle difficoltà, tutti cercano di far convergere le forze per dargli il necessario sostegno, allora quella famiglia rifiorisce». È rifiorita tante volte, almeno una ogni qualvolta è entrato un nuovo figlio, la famiglia di Giovanni Paolo Ramonda, che ha raccolto il testimone di don Oreste Benzi alla guida della Comunità Papa Giovanni XXIII. Con dodici figli, tre biologici e nove “rigenerati nell’amore”, alcuni con disabilità gravi, e otto nipoti, quella di Ramonda è una famiglia allargata atipica. «È normale per me essere in tanti, visto che sono l’ultimo di sette fratelli. Mio papà era operaio, la mamma casalinga. Si volevano bene, senza tante parole, senza fronzoli, facevano sacrifici per mantenere i figli. Vivevamo una vita essenziale, non ci è mai mancato nulla, ma non c’era l’abbondanza. Nonostante questo, a casa nostra c’era sempre un posto per chi aveva meno. I miei genitori mi hanno trasmesso l’attenzione ai poveri, mi hanno insegnato che la vita è un dono e non va sprecata, però dobbiamo fare anche la nostra parte, lavorando sodo, e confidando nella Provvidenza. Loro pregavano quotidianamente, a noi non lo imponevano, ma vedendoli, anche per me è diventato naturale. Erano persone semplici, ma appassionate del sapere. Grazie a loro oggi ho una laurea in Pedagogia». Tanti figli, alcuni anche con problemi importanti.

È proprio “Una vita per amare” quella vissuta dai coniugi Ramonda, genitori nella casa famiglia di Sant’Albano Stura (Cuneo), parafrasando il titolo del convegno che si terrà il 31 ottobre al Palacongressi di Rimini, in occasione del decennale della morte di don Benzi, spentosi il 2 novembre 2007. «Con Tiziana ci conosciamo fin da ragazzi. Quando incontri una persona che ti integra, è tutto più facile. Ho sentito che la bellezza del Vangelo poteva essere conosciuta nel matrimonio. Prima di sposarci, avevamo già cinque bambini disabili che, dopo, sono diventati parte costitutiva della famiglia, poi ne sono arrivati altri. Fra i dodici attuali, abbiamo una ragazza con una psicosi autistica grave di 44 anni che sta con noi da quando ne aveva otto, e due ragazzi con malattia mentale. La casa famiglia è una sorta di “famiglia sostitutiva” per chi ne è privo, ma è aperta al territorio. I ragazzo frequentano la scuola, lavorano nelle cooperative, si dedicano ad attività sportive. Cercare di vivere il Vangelo con questi figlioli è stato un dono enorme anche per la nostra vita di coppia. Ogni cammino di due sposi che cercano di volersi bene per tutta la vita, con amore, con fedeltà, nelle varie turbolenze, è una chiamata alla santità. Noi ringraziamo Dio che, nonostante la nostra indegnità, ci ha chiamati a questa vita, che dopo 37 anni non cambieremmo per niente al mondo».

IL VANGELO DEI POVERI

Nato nel 1960 a Fossano (Cn), città di 30mila abitanti, tra calcetto e tennis da tavolo, Paolo cresce all’oratorio. «La mia seconda casa. Era bello sapere che c’era sempre un posto dove ti aspettavano». Diciannove anni dopo, è pronto per svolgere il servizio civile, fra i primi obiettori in Italia, visto che la legge è datata 1972. «L’esperienza in un centro missionario nell’assistenza ai ragazzi di strada mi ha fatto capire che la vita andava spesa bene. Ho sentito che volevo vivere con i poveri, ma non sapevo come. Su suggerimento di un amico prete, ho deciso di andare a Rimini da don Oreste. È stato un incontro provvidenziale: ho visto una realtà normale, con tutti i suoi limiti, ma fondata sugli insegnamenti del Vangelo. E in Benzi ho visto un sacerdote che credeva in quello che diceva e cercava di vivere la dimensione con i poveri in un’esperienza comunitaria. Questo mi ha colpito e mi ha attratto. Un popolo che lascia indietro i più poveri è destinato ad autodistruggersi, perché sarà una lotta continua al primato. Invece camminare insieme ai poveri ti aiuta a godere della vita. L’umanità potrà avere un futuro solo nella misura in cui ci sarà una condivisione dei beni – per cui ognuno avrà le stesse possibilità nell’accesso ai diritti fondamentali – e un’attenzione particolare alle persone fragili».

 

ACCOGLIERE SENZA GIUDICARE

«Credo che il grande merito di don Benzi sia stato quello di accogliere tutti senza mai giudicare: barboni, tossicodipendenti, orfani, ragazze di strada…», continua Giovanni. «L’uomo non è il suo errore e nessuno di noi ha le mani pulite di fronte a Dio e all’uomo. Da trent’anni a questa parte, la grande maggioranza di chi sta in strada sono ragazze schiavizzate, vendute dalle famiglie per estrema povertà e poi rapite dal racket. Incontrandole, vedendo i loro volti, ascoltando le loro storie – molte sono minorenni, perché gli uomini le vogliono sempre più giovani – non puoi più far finta di niente; è rimasto sconvolto anche papa Francesco che ha voluto conoscere le ospiti di una nostra casa di accoglienza. La donna ha la sua dignità stupenda, c’è un’ignoranza abissale quando si parla del “lavoro più antico del mondo”. Don Oreste vedeva ogni donna come la Madonna, nella sua immacolatezza, nel suo essere bambina, madre potenziale, la vedeva come l’ha pensata Dio. Ecco perché noi in suo nome continuiamo ad andare a incontrarle sulla strada e liberarle». Giovanni Ramonda è al suo secondo mandato alla guida della Comunità. Alla domanda su cosa lo leghi di più al fondatore, peraltro prossimo alla beatificazione, risponde: «Una sua frase mi ha sempre colpito: “Dai frutti li riconoscerete”. Tutti possono dare frutti. Io e mia moglie a 19 anni siamo diventati responsabili di una casa famiglia. Don Oreste ha saputo vedere in noi quel positivo che noi nemmeno sapevamo di avere. Se penso a me dopo di lui, penso che dopo i cavalli di razza vengono i somari. E io spero di essere almeno un buon somaro. Poi penso che se Dio ha voluto così, vuol dire che ce la devo mettere tutta».

 

IL CONVEGNO

Il 31 ottobre a Rimini per farsi ancora scuotere da don Benzi

Come mai la figura di don Benzi è ancora così attuale e rivoluzionaria? E le sue parole così vive? Cercherà di rispondere a queste domande il convegno nazionale “Una vita per amare”, il 31 ottobre al Palacongressi di Rimini, in occasione del decennale della morte del fondatore della Comunità Papa Giovanni Paolo XXIII. Don Benzi è mancato il 2 novembre 2007, dopo una vita spesa con gli ultimi. Sarà dedicata ai giovani la sessione della mattinata, presentata da Marco Federici, con interventi del comico Paolo Cevoli, dell’attrice Beatrice Fazi, del giornalista Enzo Romeo e di Tonio dell’Olio di Libera. Fu con i giovani che il sacerdote “dalla tonaca lisa” iniziò la sua avventura, e a loro dedicò il suo ultimo intervento pubblico, durante la Settimana sociale dei cattolici, il 19 ottobre 2007. Durante il convegno, a cui parteciperanno centinaia di studenti delle scuole superiori del Riminese, si alterneranno video e testimonianze di persone impegnate sul campo, in alcuni ambiti dove don Oreste ha portato la sua lotto contro l’ingiustizia: immigrazione, prostituzione e tratta di esseri umani, conflitti e pace, tossicodipendenza, difesa della vita, disabilità e integrazione. Nel pomeriggio si terrà una tavola rotonda condotta da Paola Saluzzi con Giovanni Paolo Ramonda, il viceministro degli Esteri Mario Giro, Matteo Truffelli (Azione cattolica), Salvatore Martinez (Rinnovamento dello Spirito), Gigi de Palo (Forum delle famiglie), Matteo Spanò (Agesci), Lucia Bellaspiga (Avvenire), Anna Maria Furlan (Cisl), Marco Impagliazzo (Comunità di Sant’Egidio). La tavola rotonda sarà trasmessa in diretta da TV 2000 alle 16.25. Alle 18.15, verrà celebrata la Messa, presieduta dal cardinal Gualtiero Bassetti, presidente della Cei. Alle 21, ci sarà il film “Borderlife, uno spaccato di vita della Comunità Papa Giovanni XXIII nel mondo. Nell’atrio del Palacongressi resterà allestito uno spazio gestito dai giovani, con mostre fotografiche, performance artistiche e teatrali, e presentazioni di libri. Lo stesso giorno, su TV 2000, alle 23.25, sarà trasmesso il documentario “Do you love Jesus” sulla vita di don Benzi.

© 2017 Romina Gobbo – foto di Matteo Montaldo

pubblicato su Credere – domenica 29 ottobre 2017 – pagg. 6-11 (pezzo di copertina)

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