“TerraRossa” guarda all’Eritrea

Sono presenti ad Asmara, ad ad Adi Genu, ad Afabet, Dekemhare, Embatkalla, Ghinda, Halib Mentel, Kuluku, Segneneyti, Senafe, Tokombia. In una “fetta” notevole di Eritrea prestano servizio le suore missionarie Comboniane. Arriva da loro il grido di dolore per tanti ragazzi che sognano il futuro altrove. L’Eritrea rischia di perdere la sua parte migliore. Per questo, dall’incontro di 16 donne, suore e laiche, italiane ed eritree, è nata la onlus “TerraRossa” che, sulle orme del fondatore Daniele Comboni, per “Salvare l’Africa con l’Africa”, intende promuovere progetti di scolarizzazione per i bambini, e di promozione culturale e lavorativa per i giovani e le donne. Un anno fa a Verona l’inaugurazione ufficiale, con le due provinciali suor Tebe Hadgu (Eritrea) e suor Dorina Tadiello (Italia), e suor Elisa Kidanè, ideatrice del progetto. L’ispiratore è stato Omar, un bambino che a cinque anni già desiderava andare oltre il mare. «L’Eritrea ha bisogno di sentire che il resto del mondo gli è vicino – afferma suor Dorina -. È venuto il momento di mettere i popoli dell’Africa nelle condizioni di divenire protagonisti della propria storia». L’associazione intende partire da necessità concrete: cisterne per raccogliere l’acqua, macchine per costruire mattoni, borse di studio per i ragazzi, kit scolastici per i bambini e la costruzione di due scuole materne. «Le necessità sono tante e noi facciamo quello che possiamo – dice suor Tebe -. Ma anche se facciamo l’1% di quello che abbiamo in mente, Gesù, che ha moltiplicato i pani e i pesci, moltiplicherà lui per cento quanto abbiamo fatto noi. La nostra gente merita di vivere una vita migliore». Suor Elisa Kidanè è in Italia dal 1982; si considera eritrea per nascita, missionaria comboniana per vocazione, cittadina del mondo per scelta. «Tanti mi dicono: perché i giovani scappano? È difficile rispondere, come penso che sia stato difficile prispondere per chi cento anni fa dall’Italia partiva e andava verso altre terre. Partire è un diritto di tutti, è sancito, è un diritto universale andare dove si può stare meglio. Ma un conto è decidere di uscire, un altro essere quasi obbligati a farlo. A noi questo sta a cuore. Non ci interessano i discorsi politici, anche se è vero che uno dei problemi è la leva obbligatoria che non ha un termine preciso. Ci interessa andare al cuore del problema e alle radici del nostro Paese, che sono i bambini, perché possano sognare un futuro, ma non per forza in Norvegia, quello casomai lo decideranno quando saranno grandi, non a cinque anni. Dietro alle partenze c’è tanta sofferenza. I giovani devono restare per ricostruire il paese, così come hanno fatto i nostri padri, con laboriosità, tenacia, resistenza. L’Eritrea è una perla dell’Africa, minuscola ma piena di potenzialità». Un bell’impegno per “TerraRossa”, ma come dice suor Dorina: «Meglio accendere una candela piuttosto che maledire il buio. Meglio darsi da fare per dare la possibilità alla pace di mettersi in cammino».

© 2017 Romina Gobbo

pubblicato su Avvenire – 6 dicembre 2017

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